Nel mondo, ogni minuto che passa, muoiono 4 neonati e 1 madre. Quando sarete arrivati in fondo a questo post, cioè fra circa 5 minuti, saranno morti 5 mamme e 20 neonati. Non è malasanità. Non sono incidenti. E’ un mix diabolico tra ingiustizia sociale e destino. Quello che porta i bambini più fortunati a nascere “nel posto giusto”. Ovvero, in un qualsiasi reparto maternità di un qualsiasi ospedale del cosiddetto primo mondo. I 20 neonati che perderemo all’ultima riga e le 5 mamme che non sopravviveranno alla separazione fisica dal frutto del loro grembo, si trovano infatti in questo momento in una delle migliaia di bidonville, campi profughi, villaggi senza acqua e senza uno straccio di struttura sanitaria alla loro portata.

Mentre la nostra informazione riporta notizie di incidenti e malasanità nelle sale parto italiane che, intendiamoci, non dovrebbero avvenire ma che purtroppo fanno comunque parte della statistica anche in strutture tecnologicamente e sanitariamente avanzate, la grande maggioranza della popolazione mondiale vive in condizioni tali per cui nascere e morire sono due possibilità terribilmente coincidenti. Ne ho parlato con Gianfranco Gori, direttore dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell’Ausl di Forlì nonché collaboratore dell’Organizzazione mondiale della sanità per il Dipartimento Making pregnancy safer (rendere più sicura la gravidanza). Gori, come volontario, partecipa tra l’altro ai progetti dell’Ong World Friends per la costruzione e l’allestimento di reparti di maternità e neonatologia in quei paesi e in quelle realtà in cui l’alternativa è partorire, e spesso morire, in una baracca di lamiera e che ha fatto dello slogan “Nati nel posto giusto” il suo ultimo impegno.

Partorire e morire, partorire figli che non sopravvivono. “E’ una realtà quotidiana”, racconta Gori, “in tutto il sud del mondo: America latina, Africa, Asia del sud. La cosa più frustrante è sapere che le cause di questo dramma continuo sono banali e per lo più evitabili con poca spesa: le madri muoiono di emorragia o infezioni, i piccoli per parti “ostruiti” non riconosciuti per tempo. Se riescono a nascere, nei primissimi giorni di vita il pericolo mortale di infezioni e dissenterie è sempre dietro l’angolo”.

La soluzione, a volte, è più immediata di quello che potrebbe sembrare. “E’ forse sbagliato partire dal presupposto che sia necessario costruire strutture sanitarie sufficienti a istituzionalizzare tutti i parti, per esempio, dell’Africa. E’ molto più ragionevole, e fattibile in tempi brevi, pensare di formare in ogni comunità un piccolo gruppo di ostetriche locali, donne a cui viene affidato il compito e gli strumenti di base per riconoscere le principali complicazioni che possono insorgere durante la gravidanza, in modo che le madri in pericolo possano essere reindirizzate in tempo nella struttura sanitaria più vicina. Che siano in grado di assistere al parto fisiologico in condizioni igieniche più sicure, che conoscano e che abbiano a disposizione i pochi farmaci salvavita che sarebbero necessari per ridurre drasticamente la mortalità”.

I costi di questi medicinali, tra l’altro, sono davvero irrisori. “Sei compresse di misoprostolo possono salvare la maggior parte delle donne dalla morte per emorragia e costano solo 1,5 euro. Cinquanta centesimi è il prezzo di una dose di soluzione salina che salverebbe un neonato dalla disidratazione per dissenteria”.

Un reparto di maternità vero e proprio, quanto può costare? “Nel 2009 il progetto del Neema Hospital tra le baraccopoli di Nairobi ha assorbito circa 800mila euro, ma comprendeva diversi reparti (sul sito è possibile scaricare l’ultimo bilancio certificato con i costi, ndr). La maternità è stata inaugurata quest’anno e penso sia ragionevole pensare che possa essere costata tra i 300mila e i 400mila euro, ma occorrerà verificarlo sul prossimo bilancio, quello del 2010”.

E i singoli che volessero contribuire a questi progetti, come si possono tutelare da organizzazioni poco affidabili nella reale destinazione dei fondi? “Io lavoro con World Friends e potrei dirvi: fidatevi. Ma controllare è semplice: basta scegliere Ong con bilanci trasparenti e certificati. Se date un’occhiata a quello di World Friends, potete per esempio verificare che su 100 euro donati, 91 vengono investiti nei progetti e solo 9 nella macchina organizzativa complessiva”.

Intanto, nei giorni scorsi il vertice dell’Onu a New York si è concluso con l’annuncio in pompa magna di 40 miliardi di dollari, 8 all’anno, che le Nazioni Unite destineranno genericamente alla salute di donne e bambini nel mondo. “A non sapere che nello stesso periodo se ne spenderanno a livello globale quasi 8mila, di miliardi (fonte: Stockholm International peace report institute), in armamenti che colpiranno principalmente civili e, quindi, donne e bambini, potrebbe sembrare una buona notizia”, conclude Gori. Invece andrà così: “ogni 200 dollari spesi, 199 andranno ad alimentare la guerra e solo uno a compensarne il macabro effetto”.

Vogliamo essere ottimisti e considerare i 40 miliardi un piccolo passo iniziale, Ban ki-moon. Ma la strada è ancora lunga. E i minuti passano.

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