Gli investitori hanno capito che l’Irlanda ed il Portogallo non riescono a risollevarsi dalla crisi economica e hanno venduto massicciamente i titoli di Stato di questi due paesi: entrambi ora pagano più del 6 per cento d’interesse per finanziare il proprio debito. La cosa più preoccupante è che non si vedono compratori all’orizzonte e che la Banca centrale europea venerdì ha tentato di sostenere il mercato con corposi acquisti. Ma il risultato è stato scarso. Un brivido è corso lungo la schiena delle cancellerie europee e nel palazzo delle Banca centrale a Francoforte e un pensiero ha attraversato rapidamente la mente dei banchieri centrali: “Reggeremo altri due casi come quello della Grecia in Europa?”.
TUTTO A POSTO? Ci avevano spiegato che tutto era a posto, che la crisi era alle spalle e che non avremmo temuto mai più di vedere in fumo i nostri risparmi. E invece, dopo un’estate passata ad ascoltare le cicale economiche, il vecchio continente si trova a fare i conti con due crisi fiscali che difficilmente vedranno una soluzione positiva. Il primo ministro portoghese ha grandi difficoltà a far approvare il bilancio previsionale per il 2011 (ieri è arrivato a minacciare le dimissioni) e l’Irlanda continua a dire di non aver bisogno di soldi, ma ogni due settimane annuncia una nuova emissione obbligazionaria a tassi stratosferici. La credibilità di questi due Paesi è arrivata ai minimi storici e rischia di contagiare irrimediabilmente la credibilità dei paesi vicini e della stessa Europa. La Spagna ha approvato in fretta e furia una legge finanziaria per il 2011 che aumenta le tasse per le fasce più ricche della popolazione e riduce le già magre risorse ai ministeri. La Germania sembra guardare con indifferenza a tutto questo, gli accordi europei successivi al salvataggio della Grecia prevedono, nei fatti, un diritto di veto tedesco su ogni iniziativa economica in favore di uno qualsiasi dei Paesi membri. Berlino, con il governo di Angela Merkel, ha impegnato il suo Paese ad arrivare a deficit zero nei prossimi quattro anni, pagando il prezzo politico di questa ortodossia di bilancio. Accetterà di chiedere maggiori sacrifici agli elettori tedeschi per salvare nazioni che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità per almeno un decennio?
IL PRECEDENTE GRECO. Il caso Grecia non facilita la decisione: gli aiuti inviati al governo di Atene non hanno tranquillizzato i mercati, i titoli di Stato ellenici pagano ancora interessi superiori al 10 per cento ed è chiaro che gli investitori si aspettano un default o una ristrutturazione del debito da un momento all’altro. La Germania potrebbe arrivare alla conclusione che un qualsiasi intervento sarebbe solo uno spreco di denaro e che sarebbe molto più opportuno per l’Europa dotarsi di una procedura d’insolvenza ordinata. Mettere a punto, cioè, delle regole che consentano ad uno Stato di fallire senza coinvolgere nella sua caduta l’intero continente. Una soluzione suggerita sempre più spesso dagli analisti delle grandi banche tedesche. Le stesse banche che, approfittando dell’ottimismo infuso al mercato dalle cicale della Bce, hanno venduto i titoli di Stato dei Paesi in crisi e hanno comprato i più solidi Bund tedeschi. La Germania è pronta alla tempesta, può scaricare i piccoli (e i grandi) Paesi europei senza temere ripercussioni catastrofiche sulla propria economia. Anzi, l’effetto collaterale positivo di una situazione di default ordinato potrebbe essere una rapida svalutazione dell’Euro con ricadute positive sulle esportazioni, settore portante dell’economia teutonica.
priorità italiane. E l’Italia? Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti dovrà andare prima a Bruxelles e poi a Francoforte con il cappello in mano, sperando di convincere il collega di Berlino a procrastinare l’affondamento di Irlanda e Portogallo per non dovere essere poi lui esposto ad un giudizio sulla sostenibilità del debito pubblico Italiano sprovvisto dell’ombrello europeo. Ed è proprio sulla sostenibilità del nostro debito che si stanno concentrando gli analisti finanziari internazionali. Il primo dato che viene confutato dai mercati è la previsione di crescita per il 2011 fatta dal governo Italiano, 1,5 per cento, contro la Deutsche Bank che prevede una crescita italiana solo dello 0,8 per cento. E questo implicherebbe una manovra finanziaria da realizzare entro la primavera di 14 miliardi di euro. Questo a patto che le entrate fiscali del 2010 e del 2011 siano in linea con le previsioni fatte da Tremonti lo scorso anno. Ed è lecito dubitarne, ci si può anzi ragionevolmente attendere che le entrate fiscali di questo e del prossimo anno saranno inferiori, complessivamente, di almeno 2 punti a quanto previsto dalle cicale di via venti settembre. Per mantenere le previsioni occorrerà una manovra di almeno 30 miliardi, anche facendo affidamento sull’ombrello europeo. Se la Merkel dovesse decidere per la linea dura, togliendo la propria protezione al resto d’Europa, allora le conseguenze sulla nostra credibilità sarebbero imprevedibili. Il futuro di Berlusconi e del suo ministro dell’Economia come dipendono quindi molto di più da Dublino e Lisbona che dal paradiso fiscale di St. Lucia. Ma pur essendo entrambi, nella loro precedente carriera, specialisti di fiscalità offshore, sembrano faticare a capirlo.