Nella sua infinita volgarità Umberto Bossi ha almeno il merito di mostrarsi per quello che è: un caporione che si è fatto nominare ministro per meglio annettersi un pezzo d’Italia, nello sfascio generale e in un tripudio di pernacchie. Che poi i vari Alemanno non amino essere chiamati “porci” si può capire. Bisognava pensarci prima: dov’era il sindaco di Roma quando il presidente del Consiglio sottometteva il governo della nazione ai voleri dell’alleato padano? Dalla somma ingiuria, alla somma ipocrisia. Parliamo della cosiddetta tregua tra il premier e il presidente della Camera che tanto appassiona i cultori del politichese di Palazzo. La storia è nota: dopo una convivenza durata un quindicennio i due, adesso, se ne dicono di tutti i colori. L’attenzione spasmodica sulla famosa casa di Montecarlo ha messo un po’ in ombra alcuni passaggi del videomessaggio di Gianfranco Fini che vale la pena rileggere. A proposito di paradisi fiscali: “E sia ben chiaro, personalmente non ho né denaro, né barche, né ville intestate a società off-shore, a differenza di altri che hanno usato e usano queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse”. Indovinate di chi parla? E poi, a proposito dell’intrigo monegasco: “Un affare privato è diventato un affare di Stato per la ossessiva campagna politico-mediatica di delegittimazione della mia persona che si è avvalsa di illazioni, di insinuazioni, calunnie propalate da giornali di centrodestra e alimentate da personaggi torbidi e squalificati”. Che Berlusconi sia inferocito dopo aver letto giudizi del genere, non meraviglia. Ed è naturale che Fini abbia tutte le ragioni per vendicarsi dopo un simile trattamento. Ma allora che razza d’intesa si può trovare in Parlamento tra due nemici che puntano all’eliminazione l’uno dell’altro? Con il Paese che va in malora, di un’altra farsa non si sentiva il bisogno.
Politica - 28 Settembre 2010
I “porci” di Bossi
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