Migliaia di cause legali avviate negli Stati Uniti contro aziende e società finanziarie accusate di frode potrebbero essere presto spazzate via senza possibilità di risarcimento per i querelanti. Dovrebbe essere questa, con ogni probabilità, la conseguenza della clamorosa decisione assunta ieri dalla Corte Suprema Usa nell’ambito di un procedimento che aveva coinvolto una banca australiana e un gruppo di investitori. Gli azionisti che hanno acquistato i titoli di una compagnia su una piazza estera, hanno stabilito i giudici, non possono intentare una causa contro la medesima società all’interno di un tribunale statunitense. Un principio imposto esplicitamente con l’obiettivo di risolvere in un colpo solo i farraginosi conflitti sull’applicabilità delle normative straniere che, tipicamente, interessano ossessivamente le cause di risarcimento. Ma anche una regola rivoluzionaria, destinata – ed è questo l’aspetto peggiore della vicenda – a trasformarsi in un regalo di inestimabile valore per le imprese più odiate d’America. A cominciare, ovviamente, dalla più detestata di tutte.
Interpellati dal Wall Street Journal (il primo quotidiano a riferire la notizia), i dirigenti della British Petroleum (Bp) non hanno ancora rilasciato alcun commento. Un vero peccato, soprattutto per quegli azionisti individuali ed istituzionali che, ne siamo certi, avrebbero voluto conoscere nei dettagli la reazione della compagnia alla sentenza. Si tratta, ovviamente, di quelle centinaia (se non migliaia) di stakeholder che dallo scorso 20 aprile, data del famigerato incidente alla piattaforma Deepwater Horizon (che ha causato il peggior disastro ambientale della storia americana), si sentono smaccatamente traditi dalla corporation petrolifera. Da quel giorno i titoli Bp si sono svalutati del 35%, un autentico crollo dal quale gli azionisti si sentono ingiustamente penalizzati.
Gli azionisti che hanno acquistato i titoli di una compagnia all’estero non potranno più intentare una causa contro la stessa società in un tribunale statunitense. Lo ha stabilito la Corte Suprema Usa con una sentenza destinata a tagliare le gambe a molti procedimenti. Per Bp in arrivo un primo risparmio da 175 milioni di dollari.
In estate, il New York State Common Retirement Fund (Scrf), uno dei principali fondi pensione statunitensi con 132 miliardi di dollari in assets gestiti, ha avviato una causa contro Bp (della quale possiede 19 mila azioni) accusandola di «aver ingannato gli investitori in merito alle procedure di sicurezza e alla sua capacità di rispondere ad eventi come la fuga di petrolio». Come dire: se fossimo stati informati in modo chiaro, nella vostra compagnia non avremmo investito nemmeno un centesimo. Il ragionamento è tuttora condiviso da altri compagni di sventura. Nei mesi scorsi, alcuni fondi pensione dell’Ohio si sono uniti alla class action di Scrf mentre gli azionisti dell’Anadarko, una società texana che possiede il 25% delle quote di Deepwater, hanno trascinato in tribunale la loro compagnia con l’accusa di non averli mai informati dei risultati negativi emersi da un controllo di sicurezza della piattaforma realizzato a suo tempo con Bp.
I fondi pensione coinvolti possono ancora sperare di rimediare qualcosa, ma l’esclusione dalla causa dei titoli acquistati all’estero dovrebbe ridurre ampiamente il volume del risarcimento. Secondo quanto dichiarato al Wall Street Journal dal consigliere dell’ufficio delle entrate di New York Luke Bierman, i querelanti potrebbero recuperare non più di 25 dei 200 milioni persi sul mercato azionario per colpa di Bp.