Un documento del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo chiarisce la fattibilità del progetto di tassare le transazioni finanziarie. Svelando per la prima volta la strategia per concretizzarla
La novità, però, è che adesso esiste anche piano. Un progetto capace di delineare cosa e quanto tassare ma anche, e soprattutto, come superare quegli ostacoli legislativi che appena sei mesi fa venivano giudicati insormontabili dalla Commissione Ue. A presentare il programma è stato ieri il gruppo parlamentare europeo dei Verdi attraverso la pubblicazione di uno studio in grado di dimostrare la fattibilità della proposta. “Si tratta del primo documento mai scritto in grado di analizzare le modalità di introduzione della tassa europea mercato per mercato e prodotto per prodotto” ha dichiarato l’eurodeputato francese Pascal Canfin. “Le conclusioni sono evidenti: la tassa non è solo realizzabile sotto il profilo tecnico e legale, ma anche decisamente auspicabile”.
I motivi per desiderare una Ttf – frenare la speculazione, far pagare alla finanza il costo della crisi, ridare ossigeno alle casse statali dei Paesi dell’Unione – sono indiscutibilmente validi oltre che noti da tempo. Ma la “praticabilità” legale dell’operazione è stata più volte messa in dubbio. Un dubbio legittimo, che il documento, tuttavia, sembra in grado di cancellare una volta per tutte. L’Unione Europea, come noto, non può imporre una tassazione unificata, ma ciò non toglie che a Bruxelles spetti di diritto il compito di armonizzare eventuali imposte sulle transazioni approvate a livello nazionale imponendo, ad esempio, standard minimi condivisi. Tale compito, inoltre, verrebbe svolto con l’obiettivo di garantire una stabilità finanziaria all’interno dell’Ue. Un motivo, quest’ultimo, sufficientemente valido per imporre un freno ai mercati senza violare i trattati fondamentali sulla libera circolazione dei capitali.
Nel progetto dei Verdi, l’imposta dovrebbe colpire almeno cinque segmenti finanziari: il mercato azionario, quello obbligazionario, e i comparti dei derivati costruiti su tre diversi sottostanti: interessi sulle valute, azioni, titoli di credito. Tutti prodotti che, per ragioni strutturali, di costo, e di liquidità, non rischiano di emigrare massicciamente all’estero alla ricerca di un ambiente fiscale più favorevole. Restano invece escluse le transazioni condotte da famiglie e imprese, oltre che i derivati acquisiti a scopo assicurativo dai soggetti non finanziari (come le industrie che intendono tutelarsi dalla volatilità dei tassi di interesse o dei prezzi delle materie prime). Quanto al gettito le stime variano notevolmente, soprattutto a fronte dell’inevitabile contrazione dei mercati che, è bene ricordarlo sono anche gonfiati da quelle attività speculative che la nuova tassazione renderebbe meno convenienti. Secondo lo studio, un’imposta dello 0,05% genererebbe in Europa introiti annuali compresi tra gli 80 e i 190 miliardi.
Sulla strada della Ttf resta oggi un solo vero ostacolo di rilievo: il raggiungimento di una linea condivisa. La Germania, particolarmente sensibile al tema dei conti pubblici, sostiene da tempo la necessità dell’imposta così come la Francia che, attraverso le parole del suo presidente, ha recentemente sollevato la questione alle Nazioni Unite. Lo scetticismo della Gran Bretagna (sede della principale borsa europea), tuttavia, complica la situazione. «L’unica cosa che sta impedendo l’istituzione di una Ttf in Europa è la volontà politica – ricorda l’eurodeputato tedesco Sven Giegold – . Nell’incontro di questa settimana i ministri finanziari dovranno fare un passo avanti verso l’introduzione dell’imposta a livello Ue o, per lo meno e come primo step, all’interno dei confini di Eurolandia».