A sera, la vendetta di Gianfranco Fini viene servita, calda: senza i voti dei finiani il governo Berlusconi non ha più la maggioranza. Così dicono i numeri della finta fiducia. Così ha subito sentenziato Umberto Bossi che tra un insulto e una pernacchia già sente puzza di governo morto e torna a gridare elezioni. Così, dopo due mesi d’inferno nei quali nulla gli è stato risparmiato – né la cacciata dal partito che aveva co-fondato né la bastonatura quotidiana sua e della sua famiglia a cura dei giornali del premier-padrone – il presidente della Camera da incudine diventa martello. E con il primo colpo va giù duro: a giorni Futuro e libertà sarà un partito e addio Pdl. Adesso è lui a tenere Berlusconi appeso a un filo. Sarà, da quel che si capisce, una vendetta metodica. Su ogni provvedimento, in aula e in commissione, il premier sarà costretto a chiedere i voti dei finiani. Ma è sulla giustizia che il veleno della rivincita sarà distillato con cura. Berlusconi avrà lo scudo Alfano (se lo chiede per cortesia) punto e basta. E quindi niente processo breve retroattivo e niente bavagli sulle intercettazioni.
Certo il Caimano è messo male. Si è rimesso in tasca le elezioni, come ha fatto notare Bersani perché i sondaggi vanno in discesa. La campagna acquisti, poi, è stata un mezzo flop avendo raccattato solo qualche sparso girovago (e anche un tantino umiliante visto, perfino, il rifiuto dei tre diniani che hanno sentito puzza di bruciato). Il Caimano boccheggia ma fino a che punto potrà ingoiare il fiele finiano? Quanto resisterà prima di buttare tutto all’aria? Ieri, mentre Antonio Di Pietro lo sbranava definendolo “stupratore della democrazia”, il presidente del Consiglio si è girato verso il nemico quasi implorandogli di far cessare quello scempio. Sullo scranno più alto di Montecitorio Fini qualcosa ha detto al focoso oratore che comunque ha sparato l’intero caricatore. La disfatta di B. è tutta in quella immagine.