Al via a Ferrara la quarta edizione della manifestazione. In apertura un dibattito su informazione e potere in Italia: "Il giornalismo nel nostro Paese è fatto di principalmente di banalità e killeraggi"
La kermesse è iniziata con la consegna di un premio intitolato alla memoria di Anna Politkovskaja, l’inviata russa diventata famosa in tutto il mondo per le sue inchieste sulla guerra in Cecenia, assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006. Quest’anno il riconoscimento è andato a Yaqub Ibrahimi, giornalista afgano membro dell’Institute for war and peace reporting, un’associazione impegnata nella formazione dei redattori nei contesti di guerra. Il premio è stato ritirato dal fratello, dato che le autorità di Kabul avevano sequestrato il passaporto al cronista. Ibrahimi, che per ragioni di sicurezza ha lasciato il Paese, è intervenuto via skype e ha sottolineato come in Afghanistan il mestiere del giornalista consista principalmente in due cose: trovare le notizie (come nel resto del mondo) e salvare la pelle.
Molti e svariati i temi in calendario con una particolare attenzione per il giornalismo d’inchiesta nei vari angoli del pianeta. L’argomento approfondito grazie agli interventi di alcune prestigiose firme, fra cui Hu Shuli, considerata la più influente giornalista cinese e Dana Priest, statunitense che ha vinto il Premio Pulitzer con un’inchiesta sulle condizioni dei detenuti nei campi di prigionia americani in Afghanistan.
Ma al festival si parlerà anche di immigrazione con Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati e i richiedenti asilo, di Islam con Tariq Ramadam, di Medio Oriente, con Amira Hass e Robert Fisk e dei principali temi caldi della politica estera. Dall’imminente voto in Brasile, alla crescita della nuova destra, il Tea party, negli Stati Uniti.
L’incontro che ha aperto la tre giorni era invece dedicato all’Italia, o meglio, a come i cronisti stranieri vedono il nostro paese. Il titolo del dibattito era “Informazione e potere” e a discuterne assieme ad Antonio Padellaro, direttore del Fatto Quotidiano, c’erano Alexadre Stille, statunitense e collaboratore di Repubblica, Miguel Mora, corrispondente da Roma per il quotidiano spagnolo El Pais e Gerhard Mumelter, corrispondente dall’Italia del settimanale austriaco Der Standard. Secondo Mora “il giornalismo italiano, tranne qualche lodevole eccezione, è fatto di banalità e killeraggi”. Un ritratto impietoso che ha trovato d’accordo tutti i relatori. Troppa attenzione ai palazzi della politica e poca o nessuna ai problemi reali del Paese, anche se, come ha sottolineato Stille, “non si può non scrivere di Berlusconi”. Alla domanda di Padellaro se il notevole spazio riservato al premier sulle colonne dei giornali “sia una forma di nevrosi collettiva o invece sia adeguato alla drammaticità dei tempi”, Stille ha risposto che l’atteggiamento del cronista italiano ondeggia fra l’ossessione e la rassegnazione. “Gli italiani ormai hanno accettato Berlusconi, hanno digerito il fatto che sia l’editore più influente del Paese e fanno finta di niente sul suo enorme conflitto d’interessi che non sarebbe accettabile in nessuna democrazia avanzata”.
A queste parole ha fatto eco il corrispondente austriaco: “La stampa italiana alimenta un circo politico che poi a parole dice di condannare. E i problemi reali?” Secondo Mumelter, il giornalismo tricolore ha il “pallino” istituzionale e politico. “In Germania si parla del presidente della Repubblica tre volte l’anno e per non più di trenta secondi. In Italia Napolitano e Berlusconi sono in tutte le edizioni dei telegiornali”. Sarà anche perché, come ha detto lo spagnolo, “i giornali come Repubblica e Il Fatto parlano tanto del presidente del Consiglio perché ormai fanno quello che i partiti della sinistra non riescono più a fare: opposizione al governo” .
Il discorso si è spostato infine sulla figura dei “giornalisti tifosi” come Augusto Minzolini o Emilio Fede che, secondo Padellaro, sono “figure professionali” cresciute all’ombra del berlusconismo. “Una macchina da propaganda sull’esempio di Fox News. Ma Minzolini è ancora un principiante”, ha detto Stille. Il cronista austriaco ha aggiunto che “In tutta Europa la politica influenza la televisione pubblica, in Italia la infesta. Ma il vero problema è la mancanza di professionalità”. Per fortuna, come ha detto in conclusione Padellaro, “sono sempre di più gli italiani che spengono il Tg1 di Minzolini e che accendono il computer andando a cercarsi da soli le proprie notizie”.