Se i cicisbei del centrosinistra “moderato” e “riformista”, in particolare i superstiti dirigenti del Pd che tante arie di cultura di governo e professionalità politica ancora si danno, si fossero comportati come lui da sedici anni a questa parte, invece di invitarci ad abbassare i toni, a superare l’antiberlusconismo e a non demonizzare l’avversario (che al contrario ha sempre criminalizzato e diffamato chiunque gli desse fastidio), oggi Antonio Di Pietro con tutta probabilità coltiverebbe il suo campo a Montenero di Bisaccia mentre Berlusconi si godrebbe la vecchiaia ad Hammamet o in qualche altro paradiso fiscale e penale.
Degne di nota, visibili in altri video di youtube, anche le reazioni del ducetto e dei dignitari di regime alle parole di Di Pietro. Le deputatesse biondochiomate, in attesa della festa delle favorite prevista in serata a Palazzo Grazioli, lasciano l’aula in segno di disprezzo; Angelino Alfano, prima di andare a rapporto da Mavalà Ghedini per gli ultimi ritocchi alle vergogne di giornata, tamburella nervoso con volto più bronzeo del solito; Giulio Tremonti cerca di tener calmo il principe sussurandogli paroline sottovoce; altri sugli scranni governativi scrutano il capo per sondarne gli umori e altri ancora, rigidi, tengono il volto chino e fingono di leggere in attesa che il brutto momento passi veloce.
Intanto dal lato destro dell’emiciclo i manipoli parlamentari, novelli cavalli di Caligola, figli di una legge elettorale infame e di un criterio selettivo che premia i mascalzoni pronti a qualsiasi bassezza – insultano e rumoreggiano per buttarla in vacca, per coprire le parole indicibili, in un ultimo, disperato tentativo di difesa del padrone cui devono tutto. Il padrone abituato alle adulazioni dei servi e agli ossequi degli oppositori ben educati, che maschera la livida insofferenza con gesti e mimica irridenti – proprio non sopporta che qualcuno, sotto i riflettori che pretende di controllare, in un’aula di quel parlamento che ritiene superfluo frequentare, lo chiami per nome e ricordi i suoi misfatti – e poi si gira verso l’uomo da cui si sente tradito e che sta cercando di distruggere per chiedere, ma per lui chiedere vuol dire ordinare, di interrompere l’orribile affronto. Invano, l’incantesimo è rotto.
Checché ne dicano i commentatori morigerati, per i quali dire la verità senza giri di parole è da cafoni, fa bene Di Pietro: a un personaggio del genere non si deve alcun rispetto, se non quello dovuto alla carica istituzionale che indegnamente ricopre. Perché lui non rispetta, anzi cerca di intimidire e infangare chiunque risulti d’intralcio ai suoi interessi privati e illeciti. Non è un self made man, nè un uomo di Stato. Ma un avido e prepotente tipetto, un individuo amorale terrorizzato dalla verità, con velleità da monarca, che sfrutta le istituzioni per evitare la galera, che deve tutto alla corruzione della politica e al potere manipolatorio dei media: così andava e va trattato. Ha un passato talmente inconfessabile, ha costruito un ambiente a tal punto asfittico e ipocrita, che basta un accenno alla verità, a una parte della verità dei fatti documentati, per denudarlo.
Pochi, troppo pochi – nella politica, nel giornalismo, nella cosiddetta classe dirigente – hanno osato farlo in pubblico e in questa viltà sta il nucleo del caso Italia.