Due morti e un tentato suicidio in venti giorni. Bastano questi numeri per raccontare lo stato dei disoccupati e dei precari della scuola, in Italia. Ieri a Palermo Filippo La Spisa, 51 anni, collaboratore scolastico, ha minacciato di lanciarsi dal quarto piano dell’ufficio dell’ex provveditorato di Palermo. Mentre a Ostuni, in provincia di Brindisi, Cosimo Damiano Nardelli, 38 anni si è suicidato buttandosi dal finestrino del treno Espresso 925 Bolzano-lecce. Ma il primo caso è del 14 settembre. Nel capoluogo siciliano Norman Zarcone, 27 anni, dottorando in filosofia del linguaggio, si getta dal tetto dell’edificio della cittadella universitaria.

Filippo La Spisa, precario da 3 anni, ha da poco appreso di non essere rientrato nella graduatoria per l’incarico. Sale sul quarto piano dell’ufficio scolastico di Palermo e minaccia di buttarsi, mentre nell’edificio sono in corso le convocazioni per i collaboratori scolastici, amministrativi e tecnici. Un momento molto delicato per i lavoratori della scuola. Un rito che si ripete ogni anno. I posti sono pochi, la graduatoria troppo corta per i concorrenti. Chi ottiene l’incarico potrà stare tranquillo per un altro anno. Ma per chi non ce la fa, per chi resta senza lavoro, le alternative sono poche. Così è per Filippo che a 50 anni, e con quattro figli da mantenere, non sa proprio come reinventarsi un impiego. Sono momenti di tensione, sino all’intervento degli agenti della polizia, dei vigili del fuoco e del 118 che convincono l’uomo a scendere dal tetto. Diversa la fine della storia di Cosimo Damiano Nardelli, 38 anni, di Ostuni, in provincia di Brindisi. Il ragazzo ha diversi lavori alle spalle, tutti saltuari. Poi riusce a entrare in un call center. Un traguardo che gli permette di arrivare a malapena alla fine del mese. E’ diventato uno della generazione mille euro. Ma pochi giorni fa arriva la notizia: Cosimo viene licenziato. Preso dalla disperazione decide di gettarsi dalla finestra dell’ Espresso 925 Bolzano-Lecce.

Più a sud, a Palermo, il primo suicidio. Il 14 settembre Norman Zarcone, dottorando in filosofia del linguaggio, 27 anni, palermitano si getta dal terrazzo del settimo piano dell’Università del capoluogo siciliano. I genitori all’indomani della tragedia danno voce al quaderno in cui il ragazzo annotava i suoi pensieri. Norman scriveva: ”La libertà di pensare è anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla”. Una tragedia che coinvolgerà tutto il mondo della scuola. Il ragazzo si era laureato in filosofia della conoscenza e della comunicazione con 110 e lode. A dicembre si sarebbe concluso il dottorato di ricerca di tre anni, svolto senza alcuna borsa di studio. Una carriera brillante, ma che a Palermo non avrebbe mai avuto sviluppo. “I docenti ai quali si era rivolto gli avevano detto che non avrebbe avuto un futuro nell’ateneo” così dice Claudio Zarcone, padre di Norman. Che aggiunge: “Sono certo che saranno favoriti i soliti raccomandati”. Vittima di un sistema che non funziona per i genitori di Norman. Nell’angoscia per un figlio solo una è la conclusione a cui arrivano: “Questo suicidio non e’ solo frutto della depressione: e’ un omicidio di Stato”.

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