L’inizio delle lezioni è rinviato a data da destinarsi. Ecco la novità di quest’anno per gli studenti delle università italiane. Molte facoltà hanno posticipato l’avvio dell’anno accademico, dopo che 10mila ricercatori, quasi la metà del totale, hanno ritirato la loro disponibilità a tenere corsi. Per protestare contro la riforma del ministro Gelmini che deve essere approvata alla Camera. E contro i tagli della finanziaria.
Le lezioni sono bloccate in diverse facoltà degli atenei della capitale, da La Sapienza a Tor Vergata, a Roma Tre. Ritardi anche nelle università di Napoli, Bari, Palermo, Torino, Milano, Firenze, Pisa. E’ soprattutto l’abolizione della figura di ricercatore a tempo indeterminato a essere contestata da chi protesta. “Scaduto l’assegno di ricerca, un ricercatore potrà solo firmare un contratto di tre anni e poi ancora uno di altri tre”, dice Alessandro Ferretti, rappresentante di Rete29Aprile, il sito di riferimento per chi protesta. “Il precariato verrà così allungato di sei anni”. Se alla fine di questo periodo il ricercatore non riuscirà a ottenere l’idoneità per diventare professore associato, dovrà lasciare l’università. Per evitare questo, un ateneo magari preferirà assegnare il posto da associato a un precario, anziché a un ricercatore con più anzianità che ha firmato il contratto a tempo indeterminato prima della riforma. “Sarà una guerra tra poveracci”, dice Ferretti. “A guadagnarci da questo disastro non è certo l’università”.
I ricercatori si sentono colpiti dalla riforma, benché il loro ruolo all’interno del sistema universitario sia cruciale. Per dimostrarlo, molti hanno deciso di non svolgere più quelle attività didattiche che per legge sono volontarie e non obbligatorie. E se manca chi insegna, le lezioni non possono partire. “Non siamo nemmeno riusciti a mettere giù la programmazione dei corsi”, spiega Umberto Mura, preside della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali dell’università di Pisa, che non fa mancare la propria solidarietà ai ricercatori, “che sono presi a pedate dalla riforma”. Alla protesta dei ricercatori si aggiunge quella dei docenti, che lamentano la difficoltà a portare avanti i programmi didattici. “Con i fondi dell’università non riusciamo nemmeno a pagare la corrente elettrica”, racconta Mura: “Per garantire agli studenti le lezioni di laboratorio dobbiamo prendere una parte dei soldi destinati alla ricerca”.
A Bologna le lezioni di Ingegneria partono oggi, in ritardo di due settimane. Secondo Cristian Trovato, studente al terzo anno e rappresentante di facoltà nella sede di Cesena, “la protesta dei ricercatori è giusta. Abbiamo però chiesto loro di rinnovare la disponibilità a insegnare e di passare a forme alternative di mobilitazione, per non danneggiare gli studenti”. Una protesta alternativa è quella della facoltà di Design del Politecnico di Milano: questa settimana, invece che il blocco alla didattica, è stata organizzata l’iniziativa “Design no. Stop”, con docenti, ricercatori e studenti impegnati a progettare “messaggi, forme, modi e strumenti per rilanciare l’università pubblica”.
Tra lezioni alternative e lezioni che proprio non ci sono, la situazione delle università italiane in questo inizio di autunno è piuttosto confusa. E ad aumentare i problemi è arrivato il rinvio al 14 ottobre della discussione alla Camera del ddl Gelmini. Se l’esame della riforma non verrà anticipato, la sua approvazione slitterà quasi certamente di un mese (il 15 inizia in aula la sessione di bilancio che ha la precedenza sugli altri provvedimenti) e rischierà di saltare del tutto nel caso di elezioni anticipate in primavera. Ipotesi che ai rettori non piace: “Questa riforma deve essere approvata – ha detto al Corriere della Sera Enrico Decleva, presidente della Crui, la conferenza dei rettori – o il vuoto legislativo potrebbe prolungarsi per anni”. Parole che i ricercatori criticano in modo deciso: “I rettori avranno più poteri se il ddl passa. Per questo lo appoggiano”, commenta Ferretti. “Noi speriamo che il rinvio della discussione alla Camera consenta la modifica dei punti critici. Altrimenti meglio il vuoto rispetto a questa riforma”.