Politica

La difficile exit strategy dal berlusconismo

Il cammino per le annunciate elezioni anticipate risulta costellato di trappole e cul di sacco in cui ci si è si cacciati da soli; per di più a matrioska, con le une incastrate negli altri. Sicché la road map potrebbe rivelarsi assai meno lineare del previsto.

Gianfranco Fini rompe con il suo “sdoganatore” che continuava a tenerlo al guinzaglio, raccoglie una pattuglia con cui distanziarsi nel gioco parlamentare dal vecchio padrone, ma si trova alle prese con un complicato problema di posizionamento nel corpo elettorale. Infatti, evita giustamente l’abbraccio mortale con il centrismo papista (e affaristico) della banda Casini continuando a proclamarsi di destra. Alla ricerca dell’araba fenice di un’indefinita “Destra europea”. Ma – così facendo – sconta la staratura del proprio messaggio rispetto al target prescelto; definitivamente berlusconizzato a causa di modificazioni genetiche che hanno seguito un doppio binario: la colonizzazione del pensiero di vaste fasce di impauriti, grazie alla trentennale manipolazione dei loro criteri di giudizio da parte delle televisioni commerciali; l’identificazione da parte della neoborghesia rampante e possessiva nel super-rampante e iper-possessivo Berlusconi, di cui è diretta espressione e modello.

Del resto i temi con cui Fini persegue la propria diversificazione (legalità costituzionale e diritti, compreso matrimonio omosessuale e voto agli extracomunitari) piaceranno pure al popolo di sinistra (da cui – comunque – l’ex missino prende esplicitamente le distanze), non toccano certo i precordi alla tribù contrapposta, cui invece intenderebbe rivolgersi.

In altre parole, l’evasione dalla Casa della Libertà apre certamente prospettive di filibustering parlamentare, non quella di soppiantare la leadership alla testa dell’aggregato sociale maggioritario. Il primo cul di sacco, di cui si diceva.

Intanto pure Silvio Berlusconi appare impastoiato nelle proprie contraddizioni: sa bene che la situazione creatasi nelle Camere promette stillicidi destinati a logorarlo. E che l’uscita di sicurezza è rappresentata da quanto meglio gli riesce in politica: andare alla conta elettorale, in cui fare risaltare le sue doti di televenditore.

Ma se si presenta al Colle con la lettera delle dimissioni finisce sotto schiaffo del presidente Napolitano, il quale ne trarrebbe subito il destro per promuovere un governo tecnico (o similare) che – qualora respinto dalle Camere – avrebbe comunque il compito di gestire la consultazione elettorale, magari previa modificazione del Porcellum (l’orrido sistema elettorale vigente). Un dubbio attanagliante; cui si aggiunge il timore – meglio, la certezza – che dalle urne uscirebbe una Lega ancora più determinante.

Terzo cul di sacco autoinflitto: la cronica e permanente impreparazione del Partito Democratico a qualsivoglia appuntamento che comporti il voto dei cittadini.

In questo scenario di contrapposte debolezze, c’è il rischio che sotto i piedi di quanti perseguono sinceramente la fuoriuscita dalla quindicinale tirannia mediatica si spalanchi una trappola, anch’essa figlia dell’autolesionismo involontario: la convinzione semplificatoria/semplicistica che i nodi da sciogliere si riducano all’individuazione di una faccia da contrapporre a quella incartapecorita di Berlusconi; l’ennesima “discesa in campo” di un fantomatico federatore (stavolta degli sparsi lacerti all’opposizione).

Eppure la saggezza antica ci aveva insegnato che la costruzione di una casa parte dalle fondamenta, non dal tetto.

Se questo è vero, allora il problema per quanti avversano il berlusconismo prima ancora che Silvio Berlusconi non è andare alla ricerca di un qualsivoglia nome presentabile da contrapporre a tale bruttura; il tartufo bianco o il diamante grezzo (che non ci sono) sepolti nell’humus di un’ipotetica Società Civile. Basta ricordare i nomi improbabili che già sono stati fatti: Luca Cordero di Montezemolo… Alessandro Profumo… Ma per piacere! Oppure le tipologie ipotizzate, tra cui fanno capolino perfino preti e magistrati (che sarebbe meglio se continuassero a fare il proprio mestiere). Soltanto conigli tratti fuori dal cilindro; illusionismi speculari a quelli dell’illusionista di Arcore.

La fretta è comprensibile, giustificabile. Però non è la miglior consigliera. Difatti l’identificazione della democrazia nel leaderismo è solo uno dei frutti avvelenati di questa stagione. Altrettanto la perniciosa teoria dei “due tempi” (prima si conquista il potere, poi si cambia tutto), che si blocca sempre alla fase uno.

Si parli pure di leader, ma senza dimenticare l’analisi e la proposta (non i programmi precotti, ponderosi quanto inutili). Una prospettiva, non un tirannicidio.

Il Fatto Quotidiano ha già dato il buon esempio promuovendo un progetto legislativo anticorruzione. Altri sono i capitoli dell’agenda ancora da scrivere: dal come contrastare la crisi dell’impresa Italia e l’impoverimento di massa alla coesione civica in una società multietnica.