Fini dunque se lo sta facendo (di destra o di centro, si vedrà, ma lo fa)… Vendola ce l’ha: da poco, ma ce l’ha, anche se non si sa esattamente cosa ne farà… Quello di Berlusconi, ça va sans dire, è il più grosso… Anche Casini, nel suo piccolo, ce l’ha, bell’e piantato al centro. Persino Lombardo: isolato, ma ce l’ha… Lo è certamente anche quello di Bossi. Storace non è che si sia fatto pregare tanto, prima di farselo anche lui… Per non parlare di Pannella: lui è stato il primo, il progenitore di tutti – il suo primo “figlio” fu Craxi, che se lo volle fare di prepotenza e forse con una ruvidezza troppo anticipatrice – ed è riuscito a tenerselo stretto stretto sino ad ora: sempre più risicato, ma ben stretto nel suo pugno di padre-padrone abruzzese… Perché Di Pietro forse non se ne è fatto uno tutto suo? E persino Beppe Grillo, in definitiva…

E’ un fenomeno di cui non si parla nemmeno più, che si dà ormai per scontato: la grande corsa al partito “personale” o – come ripete l’intellettuale organico Quagliariello, troppo ossessivamente per essere convincente – al partito “carismatico”. E’ il partito immediatamente riconoscibile con un nome e un volto, perlopiù nato o comunque cresciuto attorno ad un singolo personaggio “carismatico”. Nel quale decide tutto il capo; opera una schiera di cortigiani e intimiditi, con ruoli differenziati e in concorrenza fra loro; ogni controversia o contenzioso, nazionale e locale, di linea politica o di affari, è conclusa, definita e risolta a priori sulla base del principio: “Si fa tutti come vuole il Capo“, “Portiamo la questione al Boss“, “Appena Lui parla, tutti allineati“… “Fate, fate pure, tanto ora interviene Gianfranco (o il Cavaliere o il Senatùr o Marco o Tonino…) e vi mette a posto“…

E’ difficile dire se la personalizzazione della politica sia in rapporto di causa o di effetto con l’arretramento e la scomparsa della politica – chissà, forse bisognerebbe andare a vedere caso per caso – ma è certamente ad essa incarnata. Ed ha come ovvio presupposto l’abolizione della democrazia interna ai partiti: anche sul piano formale, come nel caso del “popolo” berlusconiano o solo sostanziale come, ad esempio, nella “galassia” radicale. A tal proposito va correttamente precisato che il massimo di formale e spudorata abolizione della democrazia consente (vedi Pdl) la formazione di un certo pluralismo, anche se di cricche e cricchette locali con accorpamenti di potere centrali, capaci peraltro di coltivare ipotesi molteplici e concorrenziali di delfinato e di scenari di successione. Al contrario e per qualche aspetto paradossalmente, il massimo di sostanziale ma non formalizzata abolizione della democrazia impedisce anche sul piano formale (vedi i Radicali) la formazione di uno stabile gruppo dirigente nazionale e soprattutto esclude per definizione e ad libitum – ai fini della prosecuzione dello stato di dittatura “carismatica” – una qualsiasi organizzazione e “peso” dei militanti a livello locale. E’ questa, ad esempio, la questione sulla quale si spaccò l’alleanza fra radicali e socialisti: questi più insediati sul territorio, quelli contrari a riconoscere il peso “clientelare” di questo insediamento (è la stessa ragione per la quale essi si dichiarano contrari ai voti di preferenza; è il pretesto attraverso il quale si è arrivati alla definizione delle liste elettorali bloccate da parte delle segreterie carismatiche, consentendo a Berlusconi di portare in Parlamento le veline, a Veltroni le Marianne Madie, a Bertinotti le Luxurie, ecc.).

A proposito di “carisma”, c’è da dire che, di fatto, forse non se ne è mai veramente dato un solo caso fuori dalla sfera religiosa e spirituale e quindi dal suo significato letterale-teologico (“dono soprannaturale che Dio può elargire a un credente per il bene di tutta la comunità ecclesiale“). E’ aperto il concorso a chi elenca più di dieci – diciamo anche solo cinque – casi di “prestigio, ascendente, forza di persuasione” nella sfera del potere e della politica che si siano fondati o si fondino solo su “straordinarie ed esemplari qualità personali“. Per restare all’attualità italiana, cosa rimarrebbe del “carisma” del Cavaliere senza la sua conglomerata di potenza mediatica, finanziaria e politico-istituzionale-amministrativa? E persino lo ieratico Pannella, il guru per eccellenza della politica italiana, l’affabulatore principe: siamo sicuri che avrebbe controllato, come magistralmente e puntualmente ha fatto per decenni “col suo carisma”, tutti i congressi radicali, divorandosi via via i delfini e costringendo alla fuga i malpancisti, se non avesse sempre tenuto sotto occhiuto controllo la “robba” (la chiave della cassaforte e Radio Radicale, “organo della Lista Marco Pannella”)? E forse non c’entra con tutto questo la maniera ossessiva anche se comprensibile con cui Di Pietro, pure fra i più vicini al “carisma” per il suo passato di feroce imprigionatore di potenti, difende le proprietà dell’Italia dei Valori da possibili assalti barbarici?

Qualcuno sostiene che questa deriva carismatica sia inevitabile e persino virtuosa. A destra come a sinistra. Berlusconi rivendica a ogni pie’ sospinto la sua elezione “da parte del popolo”, il popolo delle libertà, la massa elettorale elevata a popolo dal suo carisma. E non è forse la “connessione sentimentale” con il suo popolo che nutre e di cui si nutre il carisma di Vendola? Certo, in questo caso si rivendica l’ascendenza gramsciana dell’espressione. Ma siamo sicuri che la “connessione sentimentale” di un leader col proprio elettorato sia oggi, in piena democrazia di massa (e nella sottospecie nazionale berlusconiana), la stessa che era ai tempi di Gramsci e che è stata sino alla metà del secolo scorso? Diventerebbe gramsciano Berlusconi se usasse l’espressione “connessione sentimentale” o è questa che invece col tempo è diventata oggettivamente “berlusconiana”?

Infine: il partito personale (o carismatico che dir si voglia) è più solido o meno solido di quello tradizionale, partecipato, complesso e quindi “diviso” in correnti di idee e gruppi di potere? Certamente più solido, più forte proprio in quanto “partito personale”, anche se solo finché riesce a durare la vita (biologica o politica) del capo. E, dopo di lui, il diluvio, la diaspora. Come quella prefigurata o anche solo auspicata nel dopo-Berlusconi per il Pdl. Come quella sofferta da Rifondazione nel dopo-Bertinotti e prima di essa, più drammaticamente, dal Psi nel dopo-Craxi.

Non a caso il partito più “debole” – tanto per cominciare per incapacità di elaborare e mantenere una linea riconoscibile, forte e coerente, e per permanente esposizione a flussi emigratori e frane – è proprio il partito meno personale e carismatico del panorama politica italiano: il Pd. Quindi anche, oggettivamente, il più democratico (non solo di nome). E’ stato detto tante volte: il Pd è più debole e meno solido del Pdl perché non ha una leadership forte, non ha un padre-padrone. Perciò anche chi, a sinistra, ha accolto con sconcerto la sua nascita e assiste con rabbia ai suoi contorcimenti e alla sua impotenza, non può non ammettere che, alla fine della giostra, è proprio lì, in quel partito “perdente” di fronte allo tsunami berlusconiano, che forse sopravvive quello che rimane in Italia della Politica e della Democrazia “non carismatica” e “non personalizzata”. E chissà, forse anche qualcosa di essenziale di cui si avrà bisogno nel dopo-tsunami.

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