Nei post precedenti ho cercato di circoscrivere il concetto di mondo narrativo sino a darne una definizione sintetica e semplice da utilizzare: un mondo narrativo è un ordine di esistenti, cioè l’insieme dei personaggi e degli ambienti di una storia che sono selezionati e correlati in modo da creare un’unità coerente e pulsante.
E’ arrivato ora il momento di capire come sia possibile generare un mondo narrativo. In altre parole, è necessario compiere un ultimo passo fondamentale, quello che dalla teoria ci trasporta nella pratica. Introdurre un metodo che ci consenta concretamente di creare gli ambienti e i personaggi della nostra narrazione e/o di verificare che siano stati costruiti in maniera compiuta ed efficace.
Il metodo che vi presento è stato elaborato dal sottoscritto e dallo scrittore/sceneggiatore Davide Pinardi, ed è stato ispirato dal lavoro dell’antropologo Carlo Tullio Altan, proprio come il lavoro di Christopher Vogler (l’ideatore del modello drammaturgico noto come “il viaggio dell’eroe”) si è nutrito degli studi di un altro antropologo, Joseph Campbell (autore del famoso L’eroe dai mille volti). Evidentemente, deve esistere una qualche connessione sotterranea tra antropologia e narrazione, le cui ragioni si possono intuire già nei post di apertura di questo blog dove si è più volte accennato a come il “narrare” sia un’attività connaturata a tutti gli esseri umani e non soltanto a scrittori, sceneggiatori o drammaturghi.
Il “metodo sette elementi generatori”, quale lo abbiamo denominato, si basa sull’idea che sette siano gli elementi o, per meglio dire, le dimensioni che interagiscono tra loro a formare un mondo narrativo:
Topos, il territorio, lo spazio;
Epos, la memoria storica;
Ethos, i valori condivisi;
Logos, i linguaggi;
Genos, l’insieme dei rapporti di status parentela e stirpe;
Telos, le finalità comunitarie;
Chronos, il tempo.
Queste sette dimensioni possono riferirsi sia al personaggio (mondo narrativo interno) sia all’ambiente (mondo narrativo esterno) e possono quindi servire come guida o come griglia per costruire sia l’uno che l’altro.
Come sempre, il sistema migliore per illustrare un metodo è applicarlo, ma lo spazio è tiranno. Dal prossimo post ci addentreremo nei sette elementi (un post per ognuno), ma per dare una panoramica rapida e approssimativa di cosa significa rintracciarli all’interno di un’opera, vi allego una delle appendici al manuale Il mondo narrativo – Come costruire e come presentare il mondo di una storia (De Angelis – Pinardi, Lindau Editore). E’ una scheda di analisi, molto breve e sommaria, che individua i sette elementi riferiti a un mondo narrativo interno, quindi a un personaggio e non a un ambiente, ovvero nello specifico alla protagonista del film Il favoloso mondo di Amelie di Jean-Pierre Jeunet (che, come spesso capita nelle commedie romantiche, trova particolarmente sviluppati gli elementi dell’epos, del genos e dell’ethos).
“Il favoloso mondo di Amelie” rappresenta un esempio fin troppo lampante di narrazione costruita interamente attorno alla psicologia di un personaggio. Le stesse scelte narrative adottate consentono con estrema facilità di ricostruire in tutti i suoi aspetti il mondo interno del personaggio, in quanto per tutto il primo atto del film una voce fuori campo racconta in modo chiaro e puntuale la formazione del carattere di Amelie e il suo lento rifugiarsi in un mondo ideale avulso dalla realtà.
Chronos
Amelie ha ventitré anni, ma la sua età interiore è quella di un’adolescente, che si dibatte tra idealismo, tensione verso gli assoluti e capacità di sognare da una parte e paure, insicurezze e inibizioni dall’altra.
Topos
Amelie è mediamente alta, magra, con un fisico proporzionato. Ha capelli e occhi neri, un sorriso largo e generoso. Ha un portamento elegante e un modo di fare discreto. In generale, comunica una sensazione di dolcezza.
Più significativo il suo topos artificiale che è caratterizzato da due note dominanti: la sobrietà e un certo anacronismo. Amelie ha un taglio di capelli simile a quello di Audrey Hepburn, un caschetto nero che le incornicia il volto. Non è mai truccata o ornata di accessori vistosi come gioielli o borse. E’ spesso vestita in modo sobrio e leggermente demodé, con gonne lunghe e magliettine accollate che le conferiscono un fascino d’altri tempi.
Il topos sembra perfettamente coerente con le caratteristiche del personaggio, una giovane donna il cui isolamento non dipende dagli altri ma dalla sua indole. Amelie non è una donna sgraziata ed emarginata ma un’incantevole sognatrice che vive al di fuori del tempo.
Genos
Amelie è bianca, francese, di estrazione borghese. E’ figlia unica. Il padre è medico, la madre è maestra elementare.
Il genos famigliare è particolarmente importante nella storia e viene dedicata molta cura alla costruzione delle figure genitoriali. Di entrambe sono mostrate piccole idiosincrasie e preferenze. E viene specificato il tratto dominante del loro carattere: atono e poco comunicativo (fin quasi alla glacialità) il padre, isterica e nervosa la madre.
Amelie non ha un gruppo di amici di infanzia. Il suo genos amicale coincide inizialmente con quello professionale. Amelie fa la cameriera in un bar di Parigi dove lavorano anche: Suzanne, la padrona, ex-ballerina equestre del circo Mediano rimasta zoppa in seguito ad un incidente; Georgette, malata di ipocondria, che si occupa dei tabacchi; Gena, collega di Amelie. L’unica amica che almeno inizialmente è estranea a questo gruppo è Filomena, hostess di linea a cui Amelie tiene il gatto tra un volo e l’altro. Nessuno di questi personaggi è sviluppato in modo particolarmente accurato.
Nel corso della storia il genos amicale di Amelie si allargherà includendo alcuni dei suoi condomini, soprattutto un anziano pittore dilettante, sofferente di una rara malattia che gli impedisce di uscire di casa e lo costringe a vivere da recluso (è chiamato “l’uomo di vetro” perché le sue ossa si rompono al minimo urto al punto che tutta la sua casa è rivestita di gommapiuma in modo da non farsi male). Il pittore diventa una sorta di alter-ego negativo di Amelie, ovvero ciò che Amelie rischia di diventare se non riuscirà a risolvere il suo blocco emotivo, che le impedisce di prendere contatto con la realtà accettando di scontrarsi con essa e rimanerne ferita.
Infine, a questi personaggi, si aggiungerà Nino, il ragazzo di cui Amelie si innamorerà ricambiata. Nino viene presentato subito come uno spirito affine ad Amelie: è un bel ragazzo, timido, discreto, con un’infanzia di solitudine alle spalle (“Spesso a 9 KM di distanza , uno sognava una sorella e l’altra un fratello con cui passare tutto il tempo…”). Nino lavora in un sexy-shop e ha la mania del collezionismo (colleziona fototessere recuperate dalle macchinette pubbliche).
Amelie viene caratterizzata come una persona chiusa in un suo mondo: cresciuta sempre sola ha trovato nella solitudine la sua condizione di vita naturale. Non pratica quindi sport o hobbies sociali, né tantotomeno vengono fornite informazioni specifiche sui suoi rapporti con il contesto culturale, religioso o politico. Si tratta di informazioni non particolarmente utili da un punto di vista narrativo, poiché il personaggio di Amelie vive appunto al di fuori del tempo e della realtà.
Logos
Il logos di Amelie è coerente con il personaggio di una donna educata, timida e distaccata dalla realtà. Amelie è spesso silenziosa, affidandosi più che alle parole a luminosi sorrisi. Quando parla, non alza mai la voce, non usa mai un linguaggio scurrile, non ricorre a doppi sensi o allusioni volgari. Il suo modo di muoversi è aggraziato e discreto, ma anche in un certo senso dinamico e vitale.
Il personaggio di Amelie comunica raramente con l’esterno, ma questo non vuol dire che sia priva di empatia o insofferente agli altri, che è invece capace di ascoltare con partecipazione e aiutare segretamente.
Epos
La dimensione dell’epos di Amelie è ricostruita con un’enorme cura. Tutta la prima parte del film è dedicata a raccontare la sua vita famigliare e gli eventi significativi che hanno segnato la sua crescita. E’ possibile affidarsi direttamente alla voce narrante del film per delineare l’epos del personaggio: “All’età di sei anni Amelie vorrebbe che suo padre l’abbracciasse…Invece il padre ha un contatto fisico con lei solo durante il controllo medico mensile. La piccola sconvolta da tanta intimità eccezionale non riesce a trattenere il batticuore e per questo il padre la crede affetta da una anomalia cardiaca. A causa della malattia fittizia Amelie non va a scuola. E’ la madre che le fa da maestra…Senza contatto con gli altri bambini, sballottata tra lo stato febbrile di sua madre e la glacialità di suo padre, Amelie si rifugia in un mondo tutto suo…E poi un giorno il dramma. La madre muore investita da una turista…Dopo la morte della madre Amelie si ritrova a tu per tu con il padre; costui, già poco comunicativo, si richiude ancora di più in se stesso e si lancia nella costruzione maniacale di un mausoleo in miniatura per raccogliere le ceneri di sua moglie…Passano i giorni, i mesi, gli anni…Il mondo esterno appare così morto che Amelie preferisce sognare una sua vita nell’attesa di avere l’età per andarsene…Cinque anni più tardi lavora come cameriera in un bar di Montmarte…la vita scorre tranquilla…Non ci sono uomini nella vita di Amelie…ma coltiva un gusto particolare per i piccoli piaceri: tuffare la mano in un sacco di legumi, rompere la crosta della creme brule con la punta del cucchiaino, far rimbalzare i sassi sul canale Saint Martin…Col tempo non è cambiato nulla: Amelie continua a rifugiarsi nella solitudine…Fino alla notte del 30 Agosto 1997 quando si verifica l’avvenimento che sconvolge la vita di Amelie…”
Il 30 Agosto del 1997 muore Lady Diana ma non è questo l’avvenimento che sconvolge la vita di Amelie. Mentre al telegiornale danno la notizia della morte della Principessa del Galles, Amelie scopre accidentalmente nel suo bagno una scatoletta contenente alcuni oggetti infantili che appartenevano al precedente inquilino del suo appartamento. E’ da questo piccolo evento straordinario che si scatena il suo conflitto interiore.
Ethos
Al centro dell’ethos di Amelie c’è il rapporto sogno/realtà: è meglio limitarsi a sognare o confrontarsi con la realtà?
Fino alla famosa notte che segna l’inizio della sua una nuova vita, Amelie è sempre vissuta preferendo i sogni alla vita reale. L’isolamento in cui vive non l’ha però resa arida ed egoista: essendo un isolamento in qualche modo voluto o comunque serenamente accettato ha avuto su di lei l’effetto contrario. Amelie si è mantenuta pura: è una sognatrice, un’idealista, a cui sono estranei il cinismo e la cattiveria gratuita.
Non a caso quando decide di entrare in contatto con il mondo reale lo fa in una maniera totalizzante. Il ritrovamento della “scatoletta dei ricordi” le suggerisce un’improvvisa missione: ritrovarne il legittimo proprietario e, nel caso in cui questo rimanga colpito dall’evento, incominciare a occuparsi attivamente della vita degli altri.
La prima parte della missione ha un esito positivo e Amelie inizia a dedicarsi alle esistenze di quelli che la circondano, cercando in maniera discreta di risolvere i loro problemi, vendicare le ingiustizie che subiscono, migliorare le loro condizioni di vita. La sua è una regia occulta, i suoi interventi rimangono sempre nascosti, ma questo non le impedisce di auto-rappresentarsi come “…la madrina di tutti gli emarginati, la madonna degli indesiderati…” e di pensare alla sua vita come a quella di un’autentica missionaria, una “…donna privata di se stessa eppure sensibile al fascino discreto delle piccole cose…che come Don Chisciotte aveva deciso di combattere contro l’implacabile mulino di tutte le miserie umane”.
L’idealismo di Amelie è un retaggio del suo isolamento, che non le consente di avere una visione realistica e oggettiva delle cose, filtrando tutto attraverso la sua indole romantica e spingendola a immaginarsi anche nei panni di uno Zorro versione femminile.
Tuttavia il suo altruismo nascosto e “mascherato” le permette ancora di intervenire nella realtà rimanendone al tempo stesso al di fuori. Per uscire concretamente dal suo mondo Amelie deve “sporcarsi le mani” ed esporsi in prima persona. La vera scelta morale di Amelie si compirà allora in riferimento al ragazzo di cui si innamora: Amelie dovrà decidere se scontrarsi finalmente con la realtà, rivelandosi a lui e correndo il rischio di essere rifiutata, o invece rimanere per sempre prigioniera del suo universo privato di sogni e fantasie.
La voce narrante è anche su questo punto estremamente chiara: “Una ragazza normale correrebbe il rischio di chiamarlo subito per capire se vale la pena di sognare ancora…Questo si chiama confrontarsi con la realtà ma è una cosa cui Amelie non tiene affatto”.
Nel dilemma se è meglio sognare o vivere Amelie sarà spesso assalita da dubbi e ripensamenti. In alcuni momenti prevarrà la convinzione che è necessario aprirsi agli altri (“Amelie ha la sensazione di essere in armonia con se stessa, la vita le appare semplice e limpida, si sente sommersa da uno slancio d’amore, un desiderio di aiutare l’umanità intera…”), in altri casi la paura di rischiare in prima persona la porterà a dubitare e a rifugiarsi di nuovo in se stessa (“Se Amelie preferisce vivere in un sogno e restare una ragazza introversa è un suo diritto. Perché fallire la propria vita è un diritto inalienabile”).
Alla fine sarà l’uomo di vetro che la spingerà ad agire e a dichiararsi a Nino, quindi a misurarsi per la prima volta con la realtà (“Lei non ha le ossa di vetro, lei può scontrarsi con la vita. Si lanci!”).
Telos
Il telos conscio, cioè l’obiettivo consapevole, di Amelie è appunto quello di “occuparsi della vita degli altri” uscendo dal suo isolamento.
Il telos inconscio è in realtà l’opposto, ovvero trovare qualcuno che si occupi finalmente di lei, dandole l’amore che le è sempre mancato e rompendo il cerchio di solitudine che la vita le ha costruito intorno.