Tutta colpa della “tremontana“, come scrivono i giornali svizzeri. Lo scudo di Tremonti e i controlli sempre più fastidiosi ai valichi del comasco sarebbero la causa principale della ritirata delle banche italiane dalla Svizzera. “Negli scorsi 18 mesi otto istituti finanziari hanno chiuso i battenti nel canton Ticino“, scrive il quotidiano economico tedesco Handelsblatt. “Di questi ben quattro sono italiani“. Ad aprire le danze, a luglio, era stata proprio Unicredit. Un piccolo ufficio, discreto, nel centro di Lugano. Un’altra sede a Zurigo e un pied à terre a Istanbul. Circa 1,5 miliardi di euro in gestione, 40 collaboratori e un utile netto di 4,2 milioni di euro a fine 2009. Da tre mesi è passato tutto nelle mani di BancaStato, la banca pubblica controllata al 100% dal cantone ticinese. Che ha pagato 42 milioni di euro per rilanciare la sua attività di private banking, ripartendo dalla costola svizzera di Unicredit.
In settembre è stata la volta di Fondiaria-SAI dei Ligresti, che ha ceduto per 100 milioni di euro Banca Gesfid, presente da trent’anni sulla piazza luganese. “Le grandi banche italiane se ne andranno tutte, una ad una. E’ solo questione di tempo. Chiuderanno gli sportelli o venderanno le attività“, ha dichiarato Fernando Zari, vice-presidente di PKB Privatbank, l’istituto che ha che rilevato Banca Gesfid. “E’ la risposta alle razzie contro gli evasori in Italia“, commenta Handelsblatt, “ma anche dei controlli più severi in frontiera e della crisi finanziaria, che riduce i margini di guadagno“. Con o senza scudo. “Gli italiani che viaggiano in Svizzera vengono perquisiti dalla polizia, le telecamere ai posti di confine riprendono le targhe“, continua il quotidiano tedesco. “Da Aprile sono rientrati in Italia 39 miliardi di euro“. Una fuga che sarebbe destinata a continuare.
“Sono sicuro che le chiusure, le fusioni e le acquisizioni andranno avanti per almeno due anni a Lugano, perché le prospettive dei paradisi fiscali sono cambiate“, sostiene Marco Mazzoni della società di consulenza svizzera Magstat.
Mentre si danno da fare per salvare il salvabile, i vicini svizzeri non perdono l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa. “Ricordate qualche anno fa, quando Unicredit aveva già messo le mani sulla Banca del Gottardo e poi, come si usa nel calcio mercato in dirittura d’arrivo l’affare sfumò?”, si chiede Corrado Bianchi Porro sul Giornale del Popolo. “Ora sono loro ad essere comprati da una banca svizzera. E’ la legge del contrappasso”. Una piccola soddisfazione, a un prezzo tutto sommato contenuto. “Abbiamo acquistato la banca a un valore che è leggermente superiore ai mezzi propri, con un supplemento di prezzo relativamente moderato”, ha dichiarato Fulvio Pelli, presidente di Banca Stato.
Ma che ne sarà delle banche ticinesi? C’è vita dopo lo scudo? A chi glielo chiede, Pelli risponde che, sì, la “tremontana” non è stata uno scherzo. Banca Stato ha perso 750 milioni di franchi (500 milioni di euro), anche se “una parte è rientrata con lo scudo giuridico”. La raccolta, nell’annus horribilis dello scudo, “è stata comunque positiva”. “Abbiamo reagito e adesso lo scudo fiscale è una cosa dimenticata. Se vogliamo vederne il lato positivo, uno dei risultati è che ora ci stiamo orientando fortemente verso una clientela trasparente dal punto di vista fiscale. E anche qui c’è un grande futuro”.
Trasparenza fiscale, regolarizzazione e soprattutto “tax compliance”. Sono queste le parole che ora vanno per la maggiore a Lugano, dove si ricercano “profili con competenza sulla fiscalità nazionale e internazionale”. “Abbiamo deciso di separare chiaramente la protezione della sfera privata del cliente, che resterà molto importante, dal tema dell’evasione fiscale”, spiega Brunello Perucchi, Presidente della Direzione Generale della BPS Suisse. “Stiamo seguendo da vicino gli sviluppi legislativi in Italia e tutto ciò comporta un certo tipo di riorganizzazione a livello aziendale“. La BPS Suisse, controllata al 100% dalla valtellinese Banca Popolare di Sondrio, ha 350 dipendenti, una ventina di filiali in tutta la Svizzera e, dal 2003, uno sportello nel Principato di Monaco. Nel 2009 l’utile si è contratto del 24,2%, ma più per la diminuzione dei margini di interesse che per lo scudo. La raccolta complessiva da clienti è scesa di poco (- 7,87%), mentre la raccolta diretta (depositi) è addirittura salita del 33,15%.
“In realtà molti capitali italiani sono usciti dalla porta e rientrati dalla finestra”, ha dichiarato L. M., un banchiere privato svizzero intervistato dal mensile Valori (valori.it), che ha chiesto di rimanere anonimo. “Nel 2002-2003, in occasione del primo e del secondo scudo, le maggiori banche svizzere hanno creato filiali in Italia e in altri Paesi confinanti. In molti casi gli asset sono stati rimpatriati, ma continuano ad essere gestiti dalle stesse banche, al di qua delle Alpi”. E la trasparenza fiscale? “Siamo pronti a chiedere agli stranieri che depositano soldi nelle nostre banche una certificazione che attesti il pagamento delle tasse nel Paese di provenienza”, continua L. M.. “Ma non possiamo controllare che la dichiarazione sia veritiera o non sia già stata usata presso altre banche per la stessa somma. Non si può chiedere alle banche svizzere di indagare sui propri clienti. Siamo banchieri, non finanzieri”. La tanto sbandierata “tax compliance” rischia di diventare l’ennesima foglia di fico. Una nuova formalità da sbrigare, perché tutto possa cambiare, rimanendo in sostanza come prima.