Sulle tombe ancora calde dei nostri soldati morti in Afghanistan, in una guerra di cui loro stessi dichiaravano non capire il senso (e noi con loro), il generale in pantofole ministro La Russa Ignazio ha ritenuto confacente al momento e alla decenza annunciare una propria personale escalation (dotare il contingente italiano di più bombe) che gli consente di atteggiarsi impunemente a mini Rambo da Bagaglino.
Ma chi è davvero questo zannuto vanitoso che ha da poco dismesso il fez, questo feticista del pelo (dedito a sagomarsi la barbetta filiforme da mezza calzetta dello show business), questo ex paninaro nella milanese San Babila fine ‘70?
Chi davvero è il muscolare chiamato La Russa Ignazio?
Mentre riflettevo sgomento, mi tornava alla mente una storia ambrosiana di oltre dieci anni fa; che racconto a chi ha voglia di ascoltarla (poi si capirà il nesso). A quell’epoca le/i diciottenni locali erano terrorizzati/e da una banda di coetanei con scarpe Thimberland e pull griffati dedita al cosiddetto “imbuco” (presentarsi alle festicciole senza essere invitati). Lo si è sempre fatto. Ma questo branco non si limitava a bere un’aranciata o partecipare alle danze. Trasformava l’intrusione in devastazione. Ossia, un’azione premeditata volta a terrorizzare gli invitati distruggendo suppellettili, umiliando gli ostaggi in quanto inabili allo scontro fisico, al limite intascando collanine e oggetti di vario pregio; per poi darsela a gambe, lasciandosi dietro una scia di minacce e irrisioni.
Mia figlia si salvò per caso dall’assalto teppistico, solo perché una pantera dei carabinieri stazionava sotto casa. Non andò altrettanto bene alla famiglia di Roberto Vecchioni, la cui figlia subì sino in fondo l’oltraggio (e seppi da un conoscente, inquilino dello stesso stabile, che la teppa, dopo aver messo a soqquadro casa Vecchioni, distrusse pure piante e arredi in tutti i piani del palazzo). Ma quando il bravo cantautore denunciò l’accaduto alla stampa, il padre di un membro della ‘banda’ giovanile liquidò la faccenda dichiarando che il Vecchioni voleva semplicemente «farsi un po’ di pubblicità per il lancio del suo nuovo disco».
Quel promettente tipetto rispondeva al nome improbabile di Geronimo, di cognome La Russa. Il virgulto dell’Ignazio.
Se le colpe dei padri non ricadono sui figli, certo i figli sono la migliore testimonianza dei modelli e degli insegnamenti ricevuti dai padri. Il più sensibile barometro dell’atmosfera che si respira in una famiglia. E già da quella vicenda se ne può dedurre la composizione: arroganza oltre la soglia di guardia, certezza di impunità, piacere tracotante nell’infierire sugli inermi.
Portando il mix all’eccesso si arriva perfino a certe lontane vicende del Circeo, quando un gruppo di giovani della Roma abbiente (ricordate i nomi: Izzo… Ghira…) massacrò due ragazze solo per il puro piacere di farlo. Le chiamavano “pidocchiose”, esseri inferiori su cui era legittimo infierire per divertimento. Qualcuno parlò di “neofascisti”, ma attribuire loro una qualsivoglia motivazione ideologica è troppa grazia. Probabilmente la chiave per capire orrori di questo tipo sta nelle psicologie sconnesse degli efferati. Forse un senso di precarietà nella loro condizione sociale – appunto – di abbienti non si sa come. Per cui le pidocchiose diventavano una potenziale critica minacciosa contro cui rivalersi preventivamente.
Nel suo piccolo, anche dietro le gesta del La Russa jr. è percepibile rabbia e risentimento sociale. La rabbia del figlio di un immigrato nella Milano del benessere, che scala la piramide sociale covando sentimenti di avversione, invidiosa quanto celata, nei confronti di chi lo precede in quanto a prestigio e benessere. Quella borghesia milanese, accogliente e civile, che è stata spazzata via dall’invasione dei “milanesizzati”; provenienti dalla provincia (“falchetti”, così li chiamano quelli scesi in città a tirare pacchi. E i Berlusconi sono originari di Saronno…), dalle valli prealpine (l’orda leghista), dalle aree premoderne del Sud latifondista e agricolo.
C’è in loro qualcosa – al tempo stesso – di barbarico e servile (forti coi deboli, stuoino coi potenti), che magari razionalizzano in pensiero politico ma – in realtà – sono solo gli umori provenienti da mondi primitivi malcelati dai loro panni di “rifatti”. In apparenza inciviliti, sommariamente ripuliti, restando sempre gli stessi: elementari, incolti fieri di esserlo, accumulatori compulsivi ed esibizionisti della “roba” alla Mastro don Gesualdo. Impudenti spregiatori di ogni principio di civiltà che possa fungere da specchio impietoso della loro vera immagine; ma anche viscidi servitori del potente di turno. Magari pugnalando alla schiena il precedente. Come nel caso di chi molla Fini per Berlusconi. Storie rusticane urbanizzate.
Davanti alle bare di ritorno dall’Afghanistan vediamo meglio cosa comporta l’incontrastato insediarsi di tali tipi umani nei palazzi milanesi o nelle ville laziali; nelle istituzioni della Repubblica italiana, millantandosi classe di governo.