“Il presente disegno di legge intende garantire la tutela della proprietà intellettuale dell’opera editoriale sia nelle forme tradizionali (carta stampata) sia nelle forme digitali (diffusione via internet). Le nuove tecnologie informatiche e di comunicazione, il diverso ruolo in cui si atteggiano le piattaforme che mediano tali contenuti informativi, le peculiarità di alcuni sistemi di distribuzione e di categorizzazione delle notizie (tra cui, in primis, i motori di ricerca) rendono, infatti, necessario ed improrogabile un intervento del legislatore. L’inosservanza dei diritti di utilizzazione economica dell’opera editoriale danneggia le imprese editrici i cui giornali, da prodotto di una complessa e costosa attività produttiva ed intellettuale, diventano oggetto di illecita riproduzione”.
E’ questo l’incipit della Relazione con la quale il Sen. Alessio Butti (PdL), lo scorso 22 luglio, ha presentato al Senato un disegno di legge – ora assegnato alla Commissione Giustizia – attraverso il quale intende vietare “l’utilizzo o la riproduzione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, di articoli di attualità pubblicati nelle riviste o nei giornali, allo scopo di trarne profitto” in assenza di un apposito accordo tra chi intenda utilizzarli e le associazioni maggiormente rappresentative degli editori.
Quella contenuta del DDL è un’autentica ed inequivocabile dichiarazione di guerra contro le dinamiche di circolazione dell’informazione in Rete, gli aggregatori di news e, persino i motori di ricerca.
Il Sen. Butti e gli altri firmatari del disegno di legge – tutti del PDL a parte il Sen. Oskar Pederlini [ n.d.r. Unione di Centro, SVP e Autonomie (Union Valdôtaine, MAIE, Io Sud, Movimento Repubblicani Europei)] – danno voce agli editori più tradizionali ed incassano, infatti, il plauso della FIEG.
Si tratta, però, di un ritorno al passato. Un disegno di legge che sembra uscito dalla penna di un uomo che non ha vissuto l’ultimo decennio, né seguito la rivoluzione del mondo dell’informazione che si sta consumando sotto gli occhi di tutti.
Le leggi di carta contro la rivoluzione digitale.
Il disegno di legge prevede che sia vietato “l’utilizzo o la riproduzione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo di articoli di attualità pubblicati nelle riviste o nei giornali, allo scopo di trarne profitto”.
Che significa, in Rete, “utilizzare” un articolo in qualsiasi forma e modo?
Indicizzarlo? Richiamarlo attraverso un link in un post o in un altro articolo? Inserire il link in un elenco di fonti allo scopo di creare una “bibliografia” su un certo argomento?
La genericità dell’espressione cui si è fatto riferimento, in uno con il suo accostamento alla parola “riproduzione”, con la conseguente necessità di attribuire alla prima un significato diverso dalla seconda, impongono di rispondere affermativamente a tutte le domande che precedono.
Nella relazione al disegno di legge, peraltro, si fa esplicito riferimento ai motori di ricerca, con la conseguenza di non lasciare dubbio alcuno sulla circostanza che, secondo gli estensori del ddl, anche l’indicizzazione andrebbe considerata una forma di “utilizzazione” degli articoli.
Ogni forma di utilizzo degli articoli di giornali e riviste pubblicati online, dunque, secondo il Sen. Butti e gli altri cofirmatari del disegno di legge, dovrebbe essere preclusa in assenza di apposita autorizzazione.
Ciò, almeno, ogni qualvolta l’utilizzo avvenisse “allo scopo di trarne profitto”, nozione, tuttavia, tanto ampia da non attenuare affatto la portata che la norma avrebbe sull’ecosistema dell’informazione online.
Intendiamoci, nessuno propone o suggerisce di lasciare l’editoria – specie online – alla mercé dell’altrui cannibalizzazione o di disapplicare in Rete i principi alla base della legge sul diritto d’autore.
Non servono, tuttavia, nuove leggi e, soprattutto, non si può continuare a sostenere fondatamente che i motori di ricerca o gli aggregatori di news – che, pure, evidentemente, non sono gestiti da enti filantropici o di beneficenza – siano parassiti e cannibali, allo scopo di “batter cassa”, ancora una volta, allo Stato e chiedere aiuto e soccorso.
Non bastano le centinaia di milioni di euro in contributi all’editoria che ogni anno il nostro Paese destina a giornali e periodici poco conosciuti, sconosciuti e, talvolta, pressoché inesistenti?
Il contesto di mercato è cambiato e sta agli editori individuare nuovi modelli di business o, piuttosto, stabilire un rapporto nuovo e diverso con i lettori.
Un rapporto basato sulla qualità dei contenuti, sulla trasparenza e sulla collaborazione.
La filosofia alla base del nuovo disegno di legge muove da un radicale ripensamento dell’equilibrio tra libertà di informazione e diritti patrimoniali dell’autore o, meglio, ormai, dell’editore.
I firmatari del disegno di legge, propongono, infatti, di posizionare l’asticella di tale equilibrio, tutta spostata dalla parte degli editori ai quali, ultimi, toccherebbe la scelta di decidere se, quanto, a quali condizioni e con quali modalità l’informazione possa circolare.
All’indomani dell’eventuale approvazione del disegno di legge, pertanto, potremmo ritrovarci tutti più poveri in termini di libertà ad essere informati ed ad informare, solo per garantire, a pochi, di non diventare meno ricchi.
Non è questa – almeno a mio avviso – la posizione di equilibrio tratteggiata dal legislatore con la legge sul diritto d’autore.
Libertà di informazione, diritto di cronaca e di critica, assieme alla ricerca, l’educazione ed ad altri interessi, infatti, dovrebbero rappresentare un limite – o almeno un elemento di contemperamento – effettivo ai diritti patrimoniali degli editori anche nel contesto digitale.
E’ davvero un peccato che mentre in Islanda ci si pone il problema di come rendere più libera l’informazione attraverso la Rete, in Italia si tenti, ogni strada, per sforzarsi di ricondurre il timone dell’informazione nelle mani dei soliti noti.
Stiamo, davvero, perdendo una grande occasione di libertà.