Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, “sconcertato” per la perquisizione nella sede del Giornale ordinata dalla Procura di Napoli, paventa un “inaccettabile controllo preventivo sull’informazione“. Anche il segretario del sindacato dei giornalisti, Franco Siddi, “pur nel rispetto del lavoro dei magistrati e in attesa di un rapido chiarimento su tutta la vicenda” segnala il pericolo che “gli interventi in atto assumessero i caratteri del controllo preventivo sulla stampa“. Insomma, gli organi di categoria trattano le questioni poste dal caso Giornale-Marcegaglia come tali questioni dovrebbero essere poste in un Paese dove giornali liberi e indipendenti o condizionati dal potere economico e politico cercano di esercitare, più o meno bene, il mestiere di informare i propri lettori su ciò che avviene. E si ergono a difesa dei propri associati, appunto i giornalisti.
Ma in Italia, dove pure le cose non sono mai andate in verità come in un Paese “normale”, negli ultimi tempi il clima e i valori nel settore dell’informazione sono radicalmente cambiati in peggio. La faziosità ha lasciato il posto alla ferocia, il “condizionamento” al servilismo, la propaganda allo squadrismo.
Al centro di questo fenomeno, anche per sue indubbie peculiarità di ruvidezza e cinismo, c’è da riconoscere che un suo posto apicale merita Vittorio Feltri. Aveva alle spalle un dignitoso curriculum professionale ma, poi, è stato tra quelli che ha mangiato la foglia (una specie che notoriamente non comprende solo gli Emilio Fede, ma anche autentici ex-professionisti come Carlo Rossella ed ex-“squali” come Augusto Minzolini). Ha capito che certe ruvidezze pagavano, che un certo cinismo si traduceva – nel contesto italiano in salsa berlusconiana – in “efficienza” ed anche in concreti riconoscimenti (progressione di carriera, visibilità, quattrini).
Ma, da un certo momento in poi, non si è trattato più di “una brillante carriera di direttore a colpi di giornalismo accentuatamente polemico e aggressivo fino alla smoderatezza“, come ho avuto modo di scrivere a suo tempo, in riferimento all’arrivo di Feltri alla direzione dell’Indipendente, giornale portato nel 1992 sull’orlo del fallimento, a pochi mesi dalla sua nascita, dal serio e ragionevole giornalismo “all’inglese” del fondatore Ricardo Franco Levi. Allora, come si legge nelle biografie, “Feltri rilancia il giornale e ne fa un quotidiano di successo, cavalcando lo sdegno popolare a seguito dell’inchiesta Mani pulite“, osannando Borrelli e Di Pietro (contro “i ladri e i tifosi dei ladri” e “gli avvoltoi del garantismo“) e lanciando grida di evviva al cielo sin dal primo avviso di garanzia a carico di Bettino Craxi (“Mai provvedimento giudiziario fu più popolare, più atteso, quasi liberatorio“). E nel 1994 la sua evoluzione non è ancora matura: chiamato dal Berlusconi della “discesa in campo” a dirigere Il Giornale, al posto di Montanelli, lo lascia dopo tre anni ancora da “dipietrista”. L’evoluzione matura compiutamente fra il 2000 e il 2009: lancia e impone sul mercato Libero, con un giornalismo sempre più lontano dai canoni più consolidati dell’informazione occidentale e sempre più vicino alla beceraggine e alla consapevole volgarità.
La svolta definitiva del clima politico e informativo italiano e del “feltrismo” si ha nell’agosto del 2009. Berlusconi decide di cambiare registro, di regolare conti e di usare metodi spicci. Quando il gioco si fa pesante, entrano in campo i duri: richiama in panchina il diligente ma moscio Mario Giordano dalla direzione del Giornale e dà le consegne allo spezzagambe Feltri. E a quel punto gli spiriti animali del feltrismo non hanno più limiti o confini, costringendo tutti quanti a parlare, di dossier in dossier, di metodo-Veronica, metodo-magistrati, metodo-Di Pietro, metodo-Boffo, metodo-Fini, metodo-Marcegaglia…
Si tratta invece in tutta evidenza di metodo-Feltri. Una formula che non rientra più nemmeno nella categoria della propaganda, per quanto sguaiata e certamente non in quella del giornalismo. Un “metodo” che non è più lo stile, diciamo così, di un singolo facitore di carta stampata, ma la consolidata capacità di un gruppo di ex-giornalisti, ben gratificati in particolare da Berlusconi, di emanciparsi dagli ultimi vincoli formali anche con la meno nobile delle forme di giornalismo. Non a caso, tutte – esattamente tutte – le vittime degli attacchi di Feltri e dei suoi (e in congrua misura di Libero, diretto dal primo dei feltriani Maurizio Belpietro) sono i notori “nemici” occasionali e permanenti del padrone di quella testata e di chi ha voluto Feltri per cose che Giordano non aveva lo stomaco o la capacità di fare. E chissà, forse per un motivo analogo, la direzione responsabile del Giornale è passata il 24 settembre da Feltri al “più feltriano di Feltri” Alessandro Sallusti: con il maestro a fare le strategie da direttore editoriale – difendendo con la propria superiore autorevolezza i propri “manovali” nei momenti di maggiore esposizione, come è capitato nel caso-Marcegaglia – e gli altri a sporcarsi le mani in pasticci che, nella prospettiva di elezioni epocali per Berlusconi, potrebbero dover essere anche più imbrattanti che nel passato.
E’ in questo quadro che ci si deve chiedere se senso abbiano le difese d’ufficio che puntualmente scattano, da parte dei dirigenti della categoria giornalistica, anche in certi casi di evidente uso improprio dei giornali e dell’appartenenza all’Ordine dei Giornalisti. Proprio Sallusti si rese recentemente protagonista di un disgustoso episodio in Tv, a Ballarò, con Massimo D’Alema. Di fronte alle reiterate ed esplicite provocazioni del vice-Feltri – chiaramente intenzionato a creare la rissa, a inserire nella discussione argomenti che nulla c’entravano col tema della serata e a far perdere la calma al leader del Pd – questi perse in effetti la calma e mandò solennemente “a farsi fòttere” il provocatore. Che non era certamente lì per fare il giornalista (ma il tutore degli interessi di Berlusconi) e che non fece certamente il giornalista durante quel confronto televisivo. Ma cosa successe, il giorno dopo? I massimi dirigenti della categoria – persino l’insospettabile presidente della Fnsi, Roberto Natale – furono costretti a difendere il “giornalista” che un politico si era permesso di mandare “a farsi fottere”. Come se non bastasse, paradosso nel paradosso, qualcuno nell’Ordine ritenne che si dovesse mettere sotto accusa il “giornalista” Massimo D’Alema (altro paradosso: un politico di lungo corso iscritto come professionista all’Ordine per aver diretto da politico l’Unità), reo di aver ingiuriato un collega
Non sorprende, quindi, la reazione dei dirigenti dell’Ordine sul caso-Marcegaglia. Ma il nuovo gruppo dirigente della Federazione della Stampa si è distinto sin dal primo momento per una più consapevole attenzione alle disastrose ricadute del “conflitto di interessi” e alla necessità di chiarire più correttamente i mali della categoria, al di là della pedissequa difesa corporativa a sfondo meramente “occupazionale”. Rispetto al vecchio quadro dirigente, Siddi e Natale sono apparsi meno politicamente faziosi, mostrando più intelligente attenzione agli interessi del “settore” che miope interesse a quelli della corporazione. E difatti, proprio Natale in questi giorni ha provveduto a chiarire qualche equivoco artatamente veicolato dai feltriani: “Quando hanno le notizie, i giornalisti le danno comunque. Se ci sono problemi giudiziari della famiglia Marcegaglia, il buon giornalista ne parla: non lo fa dipendere del fatto che i rapporti tra il Presidente di Confindustria e il governo tendano al bello o al brutto“.
Eppure, abbiamo dovuto aspettare un magistrato (ennesimo caso di “supplenza”) per poter leggere poche e chiarissime parole sulla controversa questione riproposta dal caso Giornale-Marcegaglia. “La libertà di stampa, in questo caso, non c’entra“, ha affermato il procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore. “Non è in discussione il diritto di cronaca, anzi noi ci siamo mossi anche per tutelare chi esercita correttamente questa professione. Lo abbiamo scritto chiaramente nel decreto: un giornalista può pubblicare dossier o essere fazioso. Ma non ha il diritto di usare le informazioni per fare pressioni sulle persone“.
Indubbiamente, e non solo in questo caso, Feltri e compagni hanno superato da tempo il limite della faziosità e del libero e indipendente dossieraggio. E che faccia “pressioni” lo affermano inequivocabilmente Veronica, Boffo, Fini, Marcegaglia, ecc.. Bene. Quando l’Ordine (che per primo dovrebbe farlo) e la Fnsi (che per prima potrebbe farlo) parleranno almeno con la chiarezza di quel magistrato, distinguendo fra libertà di stampa e azioni intimidatorie? Fra giornalisti e “squadristi”?