“Le bombe sono la causa non la soluzione del disastro in Afghanistan”. Non usa mezzi termini l’eurodeputato Pino Arlacchi, ex numero uno dell’agenzia Onu contro la droga e il crimine e relatore della “Nuova strategia in Afghanistan” che giovedì prossimo inizierà il suo iter al Parlamento europeo. Ad Arlacchi l’idea del ministro della Difesa Ignazio La Russa di dotare di bombe gli aerei italiani dispiegati nel Paese, non è piaciuta. “Quello che ha detto il ministro è surreale, cinico e demagogico”.
Secondo l’eurodeputato, le parole di La Russa sono in netta contrapposizione con la linea che sta emergendo in sede internazionale e all’interno dei paesi coinvolti nel teatro afghano. “Quando tutto il mondo prende atto del fallimento della missione e comincia a discutere seriamente di exit strategy, il ministro cosa fa? Parla di bombe e affida una decisione del genere al Parlamento. Come se gli onorevoli abbiano le competenze tecniche per prendere decisioni in merito alla gestione concreta delle operazioni militari”.
Per Arlacchi è proprio grazie alle bombe che la situazione afghana è ormai fuori controllo. Con i raid notturni, i droni (gli aerei senza pilota) e le stragi di civili, “quel poco di consenso che c’era nella popolazione locale è completamente evaporato”.
Dopo 10 anni di guerra e dopo 550 miliardi di dollari spesi per le operazioni (militari e civili), i talebani sono più forti di prima e gli afghani sono molto più poveri. “L’unico risultato raggiunto – sottolinea il parlamentare – è la neutralizzazione di Al Quaeda nel Paese. Che però ha spostato i suoi santuari in Pakistan”.
La missione a Kabul è un fallimento dal punto di vista militare e ma soprattutto civile. Nelle motivazioni alla relazione presentata da Arlacchi si legge che “il numero maggiore di afghani muore più a causa della povertà che per conseguenza diretta del conflitto. Nonostante gli ingenti aiuti internazionali, oltre la metà dei cittadini vive al di sotto della soglia di povertà”.
Il documento (di cui a luglio abbiamo scritto qui) propone una strategia d’uscita articolata in una serie di macro aree. Dagli aiuti internazionali, dove la maggior parte si perde nei rivoli di corruzione, a un’alternativa concreta per i contadini che coltivano oppio fino alla gestione del conflitto: in particolare la logistica e l’addestramento delle forze armate e di polizia locali.
“La guerra è in mano ai mercenari – dice Arlacchi – Su 170mila americani dispiegati sul territorio, 100mila sono contractor”. Il deputato europeo riferisce di avere sentito con le sue orecchie carabinieri italiani in Afghanistan parlare di questi professionisti della guerra come di “assassini e gentaglia senza scrupoli”. A queste persone gli americani hanno affidato la formazione dei futuri soldati afghani. Infatti come si legge nella relazione, le autorità internazionali non sono in grado di riferire il numero di ufficiali effettivamente in servizio né di comunicare dove siano finite migliaia di autocarri e attrezzature.
E poi c’è un problema ancora più grave che, secondo Arlacchi, è la vera causa dell’attentato talebano di sabato scorso in cui hanno perso la vita quattro alpini. L’esternalizzazione della logistica per gli spostamenti di uomini e mezzi Nato a società americane che a loro volta subappaltano i lavori ad agenzie private di sicurezza afghane. “Da Kabul partono un centinaio di strade che vanno a rifornire i vari fronti. La sicurezza dei trasporti militari e civili su questi percorsi è assicurata da una serie di agenzie che spesso e volentieri pagano tangenti o sono colluse coi signori della guerra o coi talebani stessi”. Un sistema di corruzione che ha portato al paradosso che a finanziare gli insorti sono gli appalti dell’esercito statunitense. “Questa è la maggiore fonte di finanziamento dei talebani, superiore perfino alla tassazione dell’industria della droga”. In seguito alle denunce del Parlamento europeo e del Congresso Usa, il comandante delle forze Isaf David Petraeus ha riconosciuto l’errore e ha annunciato un cambio di strategia, ma – come specifica il deputato – ci vorrà del tempo. Questo però ha provocato la reazione degli insorti che hanno paura di perdere una fonte essenziale per la loro sopravvivenza.
Le forze armate italiane, a differenza degli altri eserciti, provvedono da sole alla protezione e alla logistica dei propri movimenti. E “la mafia dei convogli” ha voluto colpire il nostro esercito “proprio perché non paga e organizza da sé le scorte per i propri spostamenti”.
In altre parole, i quattro alpini sono caduti perché l’esercito non paga il pizzo ai talebani.
Quello che conforta Arlacchi è che il rapporto che verrà discusso fra pochi giorni ha già registrato il via libera delle forze politiche europee più influenti, dai popolari ai socialisti. “Dopo questo passaggio in commissione arriveremo in aula verso i primi di novembre con un testo condiviso da quasi tutti i gruppi – dice Arlacchi che aggiunge – La voce unanime del Parlamento europeo potrà aiutare gli alleati americani a prendere le decisioni giuste”. E cioè che la strategia per uscire dal pantano afghano non è militare, ma civile. Con buona pace di chi crede che armare di missili i nostri caccia, sia un contributo alla sicurezza dei militari italiani.