Per questo c’è un po’ di nervosismo in Lombardia ultimamente. Il senatùr ha cominciato a immaginarsi il Nord guidato dalla Lega. Conquistati nelle urne il Piemonte e il Veneto, con Roberto Cota e Luca Zaia, rimane la Lombardia, oggi in mano a Roberto Formigoni, eletto nel Pdl ma che autonomamente riesce a muovere un buon bacino di elettori tra le fila di Cl e l’imprenditoria moderata di matrice cattolica. Per questo ad Arcore, qualunque accordo il premier intenda prendere con il senatùr non può prescindere da un coinvolgimento diretto dell’interessato.
L’idea di Bossi, già illustrata a Silvio Berlusconi, è quella di accorpare alle elezioni amministrative di marzo anche le regionali in Lombardia. Ad appena un anno dal voto. Il premier ha accolto seriamente la proposta e sta valutando come e dove collocare Formigoni senza svilirne storia personale e spessore politico. Lui da sempre sogna il ministero degli Esteri. Se il Governo dovesse cadere e si andasse a elezioni anticipate, Formigoni non accetterebbe di lasciare la Regione in base a una promessa su un eventuale ministero in caso di vittoria. Ma se la crisi venisse scongiurata, un avvicendamento potrebbe essere plausibile anche per il governatore. Le pedine, però, le sposta Berlusconi. Che sta ridisegnando la struttura del Pdl tenendo in alta considerazione l’opinione di Formigoni.
Lo conferma la decisione sul coordinatore regionale del partito: il premier vorrebbe far tornare in Lombardia Mariastella Gelmini, l’unica che riuscì a mettere d’accordo tutti negli anni della sua gestione. Lei, diventata mamma, ha chiesto a Berlusconi di tornare vicino casa, a Bergamo. Quindi accetterebbe. Ma il “trasferimento” non è andato a buon fine perché l’attuale ministro dell’Istruzione è invisa all’ambiente di Comunione e Liberazione, che venne “arginata” in Forza Italia nel coordinamento Gelmini.
Intanto Formigoni con i suoi minimizza. A chi gli chiede un’opinione sulle mire leghiste risponde che non è “un’ipotesi all’ordine del giorno” ma, certo, “poi tutto può accadere”. Non è la prima volta che il governatore lombardo si trova a dover lottare contro presunti candidati del Carroccio. Nei mesi precedenti alle elezioni del 2010, sembrava che il candidato presidente per la maggioranza sarebbe stato Roberto Castelli, ex ministro delle Infrastrutture. Il leghista si diceva “pronto” e Formigoni non faceva una piega: “Potrei rinunciare per un incarico equivalente a Roma”. Perché, ricordava, “la Lombardia è più importante di molti ministeri”. E aggiungeva: “Il presidente del Consiglio deciderà il meglio per tutti, come sempre”. Ma un anno fa il Governo era saldo e la maggioranza compatta. Oggi il futuro appare incerto e la Lega è determinante. Per questo vengono prese sul serio le mire del Carroccio. Tutte. Anche quelle palesemente irrealizzabili.
Come le voci che vorrebbero Renzo Bossi possibile vicesindaco di Milano con Letizia Moratti. “Se ci danno la Regione – spiegano in via Bellerio – noi possiamo rinunciare al sindaco ma è certo che il grosso dei voti a Letizia Moratti glieli porterà la Lega, altrimenti dove va?”. E “vista così – dice un dirigente regionale del Pdl – non si può dar torto agli amici” del Carroccio. Non a caso Umberto Bossi ha improvvisamente frenato, dopo mesi di affondi, sulle elezioni anticipate: “Bisogna sempre interpretare il ministro Bossi: io ho la chiave interpretativa e quindi sono assolutamente tranquillo, la legislatura andrà fino in fondo”. Non quella della regione Lombardia.