Per proseguire la carriera accademica, Omar (Omar Metwally) deve scrivere la biografia dello scrittore suicida Jules Gund, ma per farlo deve ottenere il consenso dei famigliari dell’autore. Dopo un primo diniego scritto e spronato dalla pedante fidanzata (anche lei docente universitaria), Omar decide di raggiungere i congiunti di Gund nella loro lussureggiante tenuta di Ocho Rios, in Uruguay. Lì trova il fratello (Anthony Hopkins), la moglie (Laura Linney) e la giovane amante (Charlotte Gainsbourg) da cui Jules ebbe una bambina. Tutti sono rimasti a vivere nell’enorme villa di famiglia, un luogo della memoria che li tiene uniti in un abbraccio dolce e mortifero. Perchè tutti e tre sono rimasti aggrappati al ricordo e alla “narrazione” di Jules, autore di un unico libro, che prima di uccidersi stava lavorando alla propria autobiografia. Come crisalidi, nessuno dei tre riesce a “uscire” da Ocho Rios e dal tempo che fu. O perchè non lo desidera o pechè ha paura o perchè sta elaborando il lutto. Ma la vita è fatta di cambiamenti, si sa. E quando la forma (e la letteratura) divora il divenire (e la vita) allora è un bel un problema.
L’arrivo di Omar, ovviamente, darà una scossa allo stallo esistenziale dei Gund. E, ovviamente, cambierà anche la vita dell’aspirante studioso. Ovviamente. Ecco: troppo ovviamente. James Ivory negli “anni 0” ha realizzato pochi film. La vena creativa, mai stata troppo spumeggiante, si sta chiudendo e Quella sera dorata (tratto dall’omonimo libro di Peter Cameron) ne è la conferma. Come i suoi personaggi, Ivory è imprigionato nella giusta misura, nel giusto metro, nel buon senso cinematografico che manca di vitalità. Conflitti e possibili soluzioni sono chiare fin dalle prime scene. Omar e la sua fidanzata (la bellissima Alexandra Maria Lara) sono davvero male assortiti. I famigliari del defunto Gund mostrano subito bisogni inappagati: la giovane amante vuole tornare alla vita ma allo stesso tempo percepisce questo desiderio come un “tradimento”; il fratello di Jules vive con il suo giovanissimo compagno e “delega” a lui la pulsione verso il futuro; la moglie del defunto beve e dipinge orribili quadri ma in cuor suo vuole fuggire da Ocho Rios. Quel che accadrà lo si capisce in fretta e, dal punto di vista della mera “trama”, il film è quasi una deduzione logica.
I personaggi, che dovrebbero essere il punto di forza di Quella sera dorata, sono simpatici ma linearmente contraddittori. Ovvero come te li aspetti. Atmosfere, musiche, costumi: tutto va bene. Ma alla fine nulla va bene davvero. Quella sera dorata è perfetto per confermare le certezze dello spettatore (è giusto seguire i nostri veri desideri, è bello evolvere e “andare avanti”), ma non è per niente efficace nel trattare il tema che, in fondo, vorrebbe ambiziosamente essere il cuore del film. Ovvero il rapporto tra arte e vita. Su questo fronte, Ivory è rimasto a speculazioni romantiche. Niente di male. Ma nei tempi di Matrix (o di Videodrome), di grandi fratelli, di social network e di dirette televisive come quella su Sarah Scazzi a Chi l’ha visto non sono certo dei personaggi sospiranti che sorseggiano cocktails su una veranda e un’autobiografia incompiuta a porre grandi interrogativi sul ruolo della finzione nelle nostre esistenze. Insomma: siamo già molto oltre. E da molti lustri. Mentre Ivory è convinto, umanisticamente, che esista veramente una vita da riconquistare. Così resta la storia, narrata con garbo ma prevedibile. E i personaggi. Graziosi ma pieni di clichè.