Dublino? Ormai è più “pericolosa” di Baghdad. Per gli osservatori irlandesi la battuta è ormai scontata. Ironia amara, solo che la frase, pur con tutto il suo carattere paradossale, ha oggi più di un fondo di verità. Potenza dei numeri: Dublino è il quinto debitore a maggior rischio insolvenza del mondo (sesto per costo di assicurazione sui bond). Ad affidare i propri risparmi alla Repubblica d’Irlanda, oggi, si corrono più rischi che ad acquistare obbligazioni irachene.
A sancire il poco invidiabile sorpasso è il rapporto reso pubblico in questi giorni da Cma DataVision, una società di base a Londra che si dedica alla sistematica raccolta dei dati sui derivati scambiati nei mercati extra borsistici. Quelli deregolamentati, per intenderci, nei quali i destini di un Paese e dei suoi disastrati conti pubblici possono essere modificati a piacimento a colpi di operazioni speculative. Tutto ruota attorno ai credit default swaps (Cds), i derivati assicurativi, utilizzati per scaricare i rischi delle potenziali sofferenze creditizie. Con la sottoscrizione di questi contratti, una parte (A) si impegna a tutelare l’altra (B) dall’impossibilità di recuperare un credito a fronte dell’ipotetica bancarotta del debitore (C). In sostanza A si fa garante del debito di C ma deve essere retribuito da B in proporzione al rischio. Tanto è elevato quest’ultimo, tanto maggiore sarà la retribuzione, ovvero il costo dei Cds.
L’aspetto più significativo, ovviamente, è dato dal fatto che i Cds sono prima di tutto una misura di rischio e, quindi, un indicatore della solidità finanziaria del soggetto cui fanno riferimento, sia esso una società privata o uno Stato sovrano. La vera novità, spiega ora il rapporto, è che i Cds sulle obbligazioni irlandesi hanno sperimentato un’impennata dei prezzi che non ha eguali nel mondo: da 266 a 458 punti base nello spazio di tre mesi (una scalata di nove posizioni nella classifica mondiale per Paesi). In sintesi: assicurare 1.000 euro di credito con Dublino costa oggi 45 euro contro i 26 che si sborsavano a luglio. Una crescita spaventosa che, sottolineano gli analisti, si traduce in un rischio default su base quinquennale del 33%. La probabilità che l’Irlanda dichiari bancarotta entro il 2015, in altre parole, è 1 su 3. Per l’Iraq, che ci crediate o meno, 1 su 4.
Dopo l’Irlanda, la peggiore performance trimestrale sui Cds spetta al Portogallo che, ad oggi, con una probabilità di bancarotta del 30% nei prossimi 5 anni è la settima nazione a maggior rischio default del mondo (nona per il costo dell’assicurazione sulle obbligazioni). Un risultato che evidenzia ancora una volta quanto quello del debito sovrano sia diventato il principale problema del sistema economico europeo. Nella graduatoria mondiale sul rischio bancarotta la Grecia è seconda (dietro al Venezuela) mentre la Romania, new entry al decimo posto, precede Lettonia, Ungheria e Islanda. La Spagna ha una probabilità di default nei prossimi cinque anni pari al 18,4%. L’Italia si ferma al 16,1.
La crisi dei conti pubblici europei ha indotto l’Ue a prospettare il Patto di Stabilità più severo di sempre imponendo drastici tagli ai Paesi caratterizzati da un rapporto debito/Pil superiore al 60%. La scelta di Bruxelles, sostenuta in primis dalla Germania, rappresenta l’ultimo tentativo per arginare una situazione che rischia seriamente di andare fuori controllo. Allo stato attuale, infatti, l’Ue non può permettersi di andare incontro al default sovrano di un Paese membro a fronte del clamoroso impatto che una simile eventualità avrebbe sulla valuta europea. La scorsa settimana, il premio Nobel Joseph Stiglitz aveva prospettato una clamorosa soluzione al problema ipotizzando addirittura l’uscita della Germania dall’euro e una conseguente svalutazione della moneta unica capace di ridare ossigeno alle esportazioni delle nazioni più deboli del Vecchio Continente.
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