…” A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella”. Non so quando il principe De Curtis, in arte Totò, la compose. So che allora la morte era una livella. Oggi non più. In Italia, oggi, quando si muore, si muore soli ma non uguali. Quattro storie di donne. Uccise.

11 agosto 2006. Sarezzo (Brescia). Hina Saleem. Pachistana. 21 anni. Voleva vivere «all’ occidentale». Non voleva sposare il cugno, come deciso dalla famiglia. Sgozzata dal padre con un coltello da cucina. La Madre sapeva ma ha obbedito. Hina, seppellita nel giardino della casa dei genitori. Avvolta in sacchi della spazzatura. Una tomba profonda un metro e mezzo. Preparata con molto anticipo. Se ne parla per un paio di giorni.

26 agosto 2010. Avetrana (Taranto). Sarah Scazzi, 15 anni. Esce di casa verso le 14.30 per andare al mare con la cugina. E’ a piedi. La casa dista 400 metri. Per avvertirla che sta arrivando le fa’ uno squillo sul cellulare. Come al solito. Dopo un po’, non vedendola, la cugina richiama. Il cellulare squilla a vuoto. Poi è irraggiungibile. La strada presumibilmente percorsa da Sarah Scazzi a quell’ora del pomeriggio è deserta. Nessuno dei vicini ha visto o sentito nulla. Spunta un amore segreto che la faceva soffrire. Foto e appelli per trovarla. Su Facebook parte un gruppo di ricerca al quale aderiscono oltre 24.000 persone. E’ il giallo dell’estate.

2 settembre 2010. Rosemary Laboragine. Sensitiva, originaria di Montegrotto Terme. Il sito www.barimia.info riporta le sue affermazioni: “Secondo me conosceva chi l’ha presa. La vedo portata via non per soldi, ma per violenza, una storia di sesso. La vedo morta sepolta nelle campagne, vicino ci sono legna e acqua, può essere un corso d’acqua o il mare, non so“. Non manca nulla per descrivere tutti gli scenari possibili. Per fortuna le è stato dato poco risalto. Altrimenti il Circo era al completo.

7 ottobre 2010. In diretta televisiva, la signora Scazzi, madre di Sarah, riceve la notizia che la figlia è stata ritrovata. Morta. Uccisa dallo zio perché aveva rifiutato le sue attenzioni. La morte fa audience. 42 giorni, e non è ancora finita, d’incessante copertura mediatica con un finale tanto teatrale, quanto drammatico nella sua realtà. Lutto cittadino. Cerimonia funebre non in cattedrale ma la Palazzetto dello Sport. Anche il funerale fà spettacolo.

3 ottobre 2010. Novi di Modena (Emilia Romagna). Hamad Kahan Butt, 53 anni, padre. Nosheen Butt. 20 anni, figlia. Non vuole nozze combinate. Il padre inizia a picchiarla. Begm Shnez, 46 anni, moglie e madre, si mette tra i due. L’uomo la colpisce con un mattone, forse una pietra, sulla testa. La donna cade per terra. Humair Butt, figlio maggiore, 19 anni, operaio, picchia con una spranga la sorella. Le grida richiamano l’attenzione. Intervengono i carabinieri. Madre e figlia vengono portate con un elicottero in ospedale. La ragazza viene operata e si salva. La madre muore. Se ne parla per un paio di giorni anche perché la Ministra Carfagna si costituisce parte civile.

5 ottobre 2010. Nubifragio a Prato. Muoiono tre cinesi, tre donne cinesi. Bisogna specificare. Se dici “Cinesi” non chiarisci il genere. Andate su Google, digitate: “Cinesi morte Prato”. Lanci di agenzia. Articoli di stampa. Non sono riuscito a trovare i nomi delle tre donne. Provateci voi. Se ci riuscite, fatemelo sapere. Senza nome. Non fa notizia sapere chi fossero. Erano solo tre cinesi, che non sapevano guidare e sono finite affogate in quattro metri d’acqua nel sottopasso della civilissima e storica città di Prato. Solo tre cinesi. Ce ne sono tanti in Italia, tutti uguali. Niente lutto cittadino nella civilissima e storica città di Prato.

Così si muore in Italia. In quasi diretta TV. Il telegiornale viene seguito non per la politica, l’economia, la società o la tecnologia ma per la cronaca nera. Quanto più è cruda, quanto più le immagini sono dure, tanto meglio per l’audience. Con buona pace per l’etica, i valori, il rispetto, la pietà. Inutile farne una colpa ai giornalisti: confezionano ciò che si vende. Il silenzio dei morti urla la notizia.

Non tutti nello stesso modo. Meglio essere giovani, bionde, occhi azzurri, di pelle bianca e di religione cristiana di confessione cattolica. Se sei mussulmana, capelli e occhi scuri, pelle “abbronzata” come dice qualcuno, strilli poco. Se poi sei piccina, capelli lisci e occhi scuri, a mandorla; se sei cinese fai così poco notizia che nessuno si preoccupa di scrivere il tuo nome. Eppure erano tre donne, madri, figlie, mogli, operaie con famiglie, affetti, storie di vita, di felicità e di dolore. Nessuno ha sentito il bisogno di riportarne i nomi.

A forza di occuparsi dei morti, muore anche il giornalismo, quello grande, vero che aiuta a costruire società migliori. Da noi, è già defunto?

Di certo la livella l’abbiamo smarrita. Riposa in pace Principe De Curtis.

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