Tra le più accreditate leggende urbane che attribuiscono a Silvio Berlusconi patenti di eccezionalità, spicca il “si narra” della sua conclamata strapotenza comunicativa.
Certo, se parliamo di canali a disposizione con cui bombardare quotidianamente gli immaginari collettivi, ciò è evidente. Ma se si analizza la qualità del messaggio, allora il giudizio è ben diverso: un precotto predisposto da botteghe di consulenza milanesi, che hanno riciclato in politica le terribili banalità della comunicazione d’impresa. Quanto serve ai top manager per raccontarla ai dipendenti e motivarli a costo zero con una dose di coccolamenti fasulli. Pura manipolazione: siamo una squadra… la missione… efficiente/efficace… Roba da convention aziendale, in cui il dipendente arriva in Panda e il capo in Bmw, mangiano insieme (per una volta. “Tanto qui siamo tutti alla pari…”) e alla fine si salutano: il boss riparte in macchinone, l’inferiore sul macchinino. Però felice e contento (o almeno dovrebbe esserlo, secondo i consulenti).
Grazie a questi consigli B. ha introdotto nel dibattito pubblico il format della “banalità infiocchettata”, per di più mendace. Di suo aggiunge l’attitudine a fare il cacciaballe (ho salvato il mondo… ho messo d’accordo Obama e Putin…) e una cultura americanista da film hollywoodiano. Pure vecchiotto.
Lo dico con sofferta esperienza, visto che l’anno scorso ho dovuto sorbirmi alcuni volumoni contenenti l’opera omnia dei suoi discorsi (stavo scrivendo un saggio su “Berlusconi come fenomeno”), facendo una scoperta: lo schema si riduce sempre alla trama standard di cinque tipi di film:
Resta da domandarsi come questa insulsa sciacquatura di piatti possa ancora avere successo, traducendosi in consenso. La spiegazione potrebbe essere duplice:
Questo per ripetere ancora una volta che il berlusconiano Ventennio (stavolta ridicolo, prima ancora che infausto) è stato in larga misura puntellato da quanti ci avevano chiesto il voto per mettervi fine.
P.S. alcuni amici di blog (che spero mi leggano) hanno giudicato il mio precedente post, quello su La Russa, intriso di umori anti meridionali. Di questo mi scuso: certamente mi sono espresso male. Del resto come potrei, visto che la compagna della mia vita (che mi ha donato due figlie amatissime) è originaria di Taranto? Volevo solo dire che i flussi migratori interni a partire dagli anni ’50, mai oggetto di politiche di integrazione e acculturamento, provenendo dalle aree meno lambite dalla modernizzazione hanno sommerso con i loro valori arcaici una fragile cultura urbana. Credo stia succedendo un po’ la stessa cosa con le attuali migrazioni dall’esterno.