Su Il Giornale Vittorio Sgarbi difende la lottizzazione Rai. L’altra sera durante l’Ultima parola è esploso, dandomi per dieci volte del fascista, quando ho fatto notare che l’attuale consiglio di amministrazione della tv pubblica, esattamente come i precedenti, è fuorilegge. La legge Gasparri, articolo 20, prevede infatti che “Possono essere nominati membri del consiglio d’amministrazione della Rai […] persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali”.
Sebbene la norma sia chiarissima, tra i sette membri del cda scelti dalla commissione parlamentare di vigilanza siedono ben quattro ex parlamentari, un ex manager Fininvest e un ex direttore di un giornale di partito. Il consiglio di amministrazione infatti è composto, tra gli altri, da Giovanna Clerici Bianchi, per due volte parlamentare della Lega, Rodolfo De Laurentis, ex parlamentare dell’Udc, Alessio Gorla, ex funzionario del Biscione e organizzatore della campagne di Forza Italia del ’94, Guglielmo Rositani, più volte parlamentare missino e di Alleanza Nazionale, Antonio Verro, ex parlamentare di Forza Italia ed ex manager Edilnord, Nino Rizzo Nervo, ex direttore di Europa, il quotidiano del Pd, e Giorgio Van Straten, uno scrittore amico di Walter Veltroni.
A mio avviso, a prescindere dall’eventuale valore dei singoli, la composizione dimostra ancora una volta come il Parlamento sia ormai abituato ad approvare leggi che poi vengono immediatamente violate da chi le ha fatte. Nessuno dei membri del cda può infatti essere considerato di “notoria indipendenza di comportamenti” e solo alcuni di loro si sono “distinti in attività economiche, scientifiche e giuridiche”.
Per Sgarbi però questo non è vero. Secondo lui “appartenere a un partito fa parte della dialettica democratica ed è una manifestazione di libertà e indipendenza”. Perché, scrive, “solo in una dittatura, con un partito unico, non si è liberi, non si è indipendenti”. Chi ne ha voglia può leggere qui il suo articolo.
Dirò subito che con Sgarbi sono d’accordo su un paio di punti.
Il primo: davvero, come ammette egli stesso, lui è ormai diventato un manierista (anzi una macchietta) che ripete all’infinito la stessa scena (l’aggressione verbale verso chi non la pensa come lui). Il secondo: Sgarbi ha ragione quando dice che mi sono divertito mentre lo vedevo urlare contro di me.
Ho infatti sempre pensato che quel tipo di toni e di parole, soprattutto se utilizzate a freddo, dimostrino meglio di ogni altra cosa la povertà di argomenti a disposizione di chi cerca di contrastarti. Come diceva Paul Valèry, quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore.
Ma veniamo ai partiti e alla lottizzazione (che con buona pace di Sgarbi sono due cose diverse).
È vero: i partiti sono il sale della democrazia. Senza partiti, preferibilmente diversi e migliori dei nostri, i cittadini non possono portare e le loro istanze nelle istituzioni.
Ma in Rai, come nel resto della vita pubblica italiana, la democrazia è ormai degenerata in partitocrazia. Sia perché i nostri partiti (quasi tutti) non rappresentano più gli elettori, ma esclusivamente le proprie classi dirigenti: cioè un’oligarchia che occupa (abusivamente) ogni ganglio della società. Sia perché i cittadini possono contare nella cosa pubblica e far valere la loro voce anche senza il tramite dei partiti.
Ai vertici della tv pubblica, per esempio, potrebbe benissimo esserci un consiglio di amministrazione i cui membri vengono scelti dai lavoratori della Rai, dai rappresentanti degli abbonati, delle università, delle associazioni dei consumatori, dei sindacati degli artisti e tante altre realtà. Oppure ci potrebbe essere una fondazione indipendente come accade in Inghilterra e in altri paesi del nord Europa.
I partiti sono infatti il sistema con cui i cittadini dovrebbero farsi rappresentare in parlamento, nei comuni e nelle regioni. Non in tutto il resto. Negli ospedali conta (o meglio dovrebbe contare) la bravura dei manager e dei medici. Non la loro casacca politica. Nelle tv la qualità dei programmi e la loro indipendenza. Non il colore della tessera.
Del resto anche i partiti sanno benissimo che la partitocrazia è fautrice di ingiustizie, favoritismi e inefficienze. Proprio per questo pubblicamente dicono di aborrirla. E anche la (pessima) legge Gasparri specifica che membri del cda Rai devono diventare persone “di notoria indipendenza di comportamenti”. Affermare apertamente che quelle poltrone sono invece riservate agli iscritti ai vari movimenti politici sarebbe stato decisamente brutto. Anche per loro.
In altri momenti storici, comunque, i partiti avrebbero almeno tentato di rispettare le regole che essi stessi si sono dati nominando non degli ex parlamentari, o degli ex dipendenti di Berlusconi (premier e proprietario del maggior concorrente della Rai), ma intellettuali o manager considerati d’area. Una soluzione tutt’altro che bella, ma non poi così ipocrita, come sostiene Sgarbi. La nomina di persone di questo tipo almeno non sarebbe stata apertamente in contrasto con la lettera della legge Gasparri. Infatti si può essere di destra o di sinistra ed essere indipendenti. Perché il problema non è chi si vota, ma dove e con chi si milita.
Guardando cosa è diventata oggi la Rai, sia dal punto di vista dei contenuti che dei bilanci, si capisce invece quale disegno sia stato seguito. Nel cda era necessario mettere dei consiglieri a cui si potessero dare ordini con la certezza che venissero eseguiti. Non per niente proprio Berlusconi, al telefono con Agostino Saccà, definisce la Clerici Bianchi “la soldatessa” della Lega.
Del resto, il motivo per cui, almeno la maggioranza, ha scelto figure di questo tipo non è solo politico. È anche economico. Una Rai forte e indipendente può danneggiare Mediaset.
Sgarbi le sa queste cose? Certamente. Ma durante buona parte della sua vita ha messo il suo talento (la sua cultura classica e la sua capacità dialettica) al servizio dei potenti. È diventato quel che è diventato non solo perché aveva delle doti, ma anche dei protettori. E così, fin dall’epoca di “Sgarbi quotidiani” (una violentissima trasmissione abolita quando smise di essere funzionale ai disegni di Berlusconi) ha finito per contribuire a far crescere nel nostro Paese il cancro della partitocrazia.
Per questo oggi vorrei solo che fosse più educato. E non certo che arrivi a rinnegare una parte di se stesso.