Mentre il ministro La Russa onora a modo suo la memoria dei 4 soldati ammazzati qualche giorno fa in Afghanistan dichiarando che il contingente italiano aumenterà sino a 4 mila unità entro la fine dell’anno, il governo appare in evidente imbarazzo nel gestire una situazione sempre più complicata sia sul campo che mediaticamente. Ma ecco che puntuale arriva il “soccorso rosé” al governo e alla sua guerra.
Ci pensa Giuliano Amato, che il 17 ottobre dalle colonne del “Sole 24 Ore” ci propone un articolo dal titolo di chiarezza esemplare: “La nostra Carta non nega la guerra”.
Mentre il povero La Russa è costretto a rifugiarsi nel nonsense e a dire cose del tipo “siamo in una missione di pace che comporta atti di guerra”, Giuliano Amato getta direttamente il cuore oltre l’ostacolo. E compatisce le schiere di italiani ingenui e disinformati i quali “pensano che, secondo la Costituzione, l’Italia ripudia la guerra, punto e basta. Non è così. Essa dice all’articolo 11 che ‘l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’”.
Perbacco, c’è una bella differenza! Anche perché la stessa Costituzione “aggiunge che l’Italia intende essere parte delle organizzazioni che assicurano la pace e la giustizia tra le nazioni, accettando anche le necessarie limitazioni di sovranità. Che cosa vuol dire tutto questo? Che la Costituzione ci autorizza a fare la guerra per difenderci e a partecipare alle operazioni militari decise nelle sedi sovranazionali, in primo luogo le stesse Nazioni Unite, per difendere la pace e la giustizia tra le nazioni”.
Ma non basta: Amato tira le orecchie alla stessa ONU, che parla di “operazioni militari”, alimentando l’illusione che non si tratti di operazioni di guerra. E invece no: “sono sempre operazioni di guerra, ma la Costituzione – lo abbiamo appena visto – non le vieta…”
E quindi, quando parliamo di missioni militari all’estero, “non c’è alcun bisogno di presentarle come missioni umanitarie e di alimentare così aspettative che potranno poi sentirsi tradite”.
Da oggi in poi Ignazio La Russa può parlare di guerra con serenità, e Giuliano Armato (possiamo chiamarlo così: non se ne avrà a male) gli darà la sua benedizione.
Con un’unica cautela: “l’autorizzazione costituzionale non è in bianco e… è irrinunciabile che le missioni abbiano un inequivoco connotato difensivo”.
Qui Giuliano Armato ci lascia un po’ perplessi. In effetti, non è banale considerare la guerra in Afghanistan come “difensiva” per un Paese quale l’Italia, che si trova a 5.000 chilometri di distanza. Ma il buon Giuliano, Armato delle sue certezze, ci risponde con sufficienza: “Ebbene, quel connotato è indiscutibile nel caso dell’Afghanistan, uno stato che non aveva aggredito il suolo degli Stati Uniti, ma aveva di sicuro ospitato e protetto l’organizzazione terroristica che lo aveva fatto alle Torri gemelle”.
Ricapitoliamo i capisaldi (per così dire) del ragionamento di Giuliano Armato:
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I soldati italiani oggi partecipano ad una guerra che è in corso da 9 anni (ed è ormai più lunga della guerra del Vietnam).
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È giusto stare là perché si tratta di una guerra difensiva.
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Ed è giusto chiamare questa guerra difensiva perché il regime vigente in quel Paese 9 anni fa aveva ospitato l’organizzazione terroristica che aveva compiuto l’attentato contro le Torri gemelle.
(Ovviamente, è del tutto irrilevante il fatto che in questi 9 anni di guerra non si sia neppure riusciti a catturare il movente della guerra stessa, ossia il presunto responsabile dell’attentato delle Torri gemelle. In compenso, i morti civili in Afghanistan già il 6 dicembre 2001 avevano superato il numero dei morti delle Torri gemelle, e oggi sono un multiplo abbondante di quelli).
Diciamo la verità. Difendere questa guerra in quanto difensiva, su queste basi, non è insostenibile: è ridicolo.
Ma la partecipazione italiana a questa guerra non va contestata soltanto per questo. In realtà, la guerra contro l’Afghanistan non è stata intrapresa dall’ONU, ma dagli Stati Uniti. Ed è stata contrassegnata da subito da pesantissime violazioni del diritto internazionale.
Infatti i passi utilizzati dagli USA per scatenarla, in violazione della Carta dell’ONU, sono stati i seguenti:
1) si è considerato l’attacco terroristico dell’11 settembre come “un atto di guerra”; che però è tale – se le parole hanno un senso – solo ove vi sia aggressione di uno stato contro un’altro stato (cosa che evidentemente non era, come ricorda anche Giuliano Armato);
2) si è esteso indebitamente il “diritto all’autodifesa”, che la Carta dell’ONU contempla solo come diritto temporaneo a respingere un attacco “fintanto che il Consiglio di Sicurezza non abbia attuato le misure necessarie per il mantenimento della pace della sicurezza internazionale” (art. 51); infatti solo il Consiglio può intraprendere “con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale” (art. 42);
3) si è mosso guerra non ad uno stato “aggressore”, ma ad uno stato che aveva ‘dato ospitalità’ ai presunti terroristi;
4) è stato mosso un attacco non “proporzionato” all’offesa subita;
5) la guerra è stata iniziata senza aver di fatto nemmeno esperito le alternative (in effetti gli USA hanno rifiutato il negoziato che i Talebani avevano offerto; anche se adesso, a 9 anni di distanza, la situazione sul campo è così negativa che sono loro a propiziare i contatti tra Talebani e il governo di Karzai).
Le prime 2 di queste violazioni sono avvenute con la complicità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che:
1) con la risoluzione 1368 del 12 settembre 2001 ha dichiarato gli attacchi terroristici dell’11 settembre “una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale“, accettando così di fatto l’equiparazione tra atto terroristico e atto di guerra (senza però usare l’espressione “atto di guerra”: era troppo anche per loro…);
2) ha sostenuto che “il diritto alla legittima difesa individuale o collettiva” era “in conformità con la Carta” (senza alcun cenno alle fondamentali limitazioni di cui sopra), e dunque offerto agli USA un pseudo-fondamento giuridico per la loro guerra; questo in aperta violazione dell’art. 42 della Carta, citato più sopra (si tratta di uno pseudo-fondamento, perché la Carta prevale comunque su qualsiasi sua interpretazione, anche se fornita dal Consiglio di sicurezza).
Per quanto riguarda gli altri tre punti menzionati più sopra neppure l’obbediente Consiglio di Sicurezza è stato in grado di trovare una foglia di fico adeguata a coprire l’illegalità dell’intervento americano in Afghanistan.
Nonostante l’arrendevolezza del Consiglio di sicurezza, o forse proprio per questo motivo, l’ONU in tutta questa vicenda è stato assolutamente delegittimato. Nei primi mesi di guerra le forze militari USA non solo hanno ripetutamente ignorato gli appelli del Commissario ONU per i diritti umani affinché cessassero i bombardamenti per consentire gli aiuti umanitari, ma hanno addirittura bombardato direttamente agenzie internazionali delle Nazioni Unite. Quanto alla delega data successivamente dalla stessa ONU alle forze NATO (e più in particolare a quelle statunitensi) per operare in sua vece, è meglio stendere un velo pietoso…
Ma torniamo a noi.
Con la partecipazione italiana all’operazione “Enduring Freedom” la Costituzione italiana è stata violata in tre punti:
- è stato violato l’art. 11, che ammette la guerra solo come strumento di difesa;
- è stato violato l’art. 78, che prevede che per la guerra debba esservi una formale delibera dello stato di guerra da parte delle camere;
- è stato violato l’art. 87, che prevede la dichiarazione dello stato di guerra da parte del Presidente della Repubblica. In verità, altra violazione del diritto internazionale, questa guerra non è mai stata dichiarata (neanche dagli Stati Uniti). Tant’è vero che quando per la guerra in Afghanistan il Parlamento ha scandalosamente votato (voto bipartisan, con la sola eccezione di PdCI, PRC e Verdi) il ripristino – per la prima volta dal 1945 – del codice penale militare in tempo di guerra, ha dovuto modificare in senso peggiorativo l’art. 165, che prevedeva appunto che il codice entrasse in vigore solo a seguito della dichiarazione di guerra (secondo il nuovo testo votato le disposizioni del codice penale di guerra “si applicano in ogni caso di conflitto armato, indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra“).
Ce n’è abbastanza per lasciare Ignazio La Russa e Giuliano Armato alla loro guerra. Da soli.