di Sergio Nava

Concluso il mio progetto di ricerca a Philadelphia, con buoni risultati e la dimostrazione che la terapia genica da me proposta bloccava la crescita dei tumori che sperimentavo, avrei voluto tornare in Italia. Ho incontrato direttori di reparto e ho inviato documenti per un paio di concorsi. Ma, pur con l’esperienza accumulata, o mi è stato offerto di lavorare giorno e notte per guadagnare cifre irrisorie, o mi è stato detto che non c’era spazio, o che non avevo abbastanza esperienza in ricerca per competere con persone interne“.

E’ questa l’amara – ma non sorprendente – conclusione (almeno per ora) del percorso professionale di Giovanni Abbadessa, 34enne oncologo napoletano attualmente al lavoro a Boston, negli Usa. Giovanni ha rinunciato a comode prospettive di impiego nella sua città per salire a Milano a specializzarsi. Una scelta sofferta, criticata a Napoli (da chi gli rimproverava la decisione di “buttar via” una carriera già scritta), e neppure particolarmente ricompensata dall’ambiente sociale milanese. La “capitale economica” appare spesso fredda, ai nuovi arrivati: tuttavia, il centro ospedaliero dove Giovanni va a prestare servizio lo accoglie molto bene, e diventa per lui una “bella palestra di medicina”.

Conclusa la specializzazione, Giovanni si trova di fronte alla scelta fondamentale: restare a Milano, con un posto praticamente assicurato nel suo centro ospedaliero, tornare a Napoli, o…? Lui sceglie la terza ipotesi, compiendo un nuovo salto nel buio: si trasferisce negli Usa, a Philadelphia, dove opta per fare ricerca. Praticamente dal nulla, a soli 28 anni, organizza un proprio gruppo di ricercati sui tumori del fegato, ottenendo ottimi risultati in soli tre anni.

Conclusa questa esperienza, Giovanni è pronto per tornare in Italia, ma… dall’altra parte dell’oceano trova il vuoto. Offerte inadeguate, salari bassi, spazi già occupati da chi si era diligentemente messo in fila ben prima di lui (magari senza mettere mai il naso fuori dai patri confini…).

Per la seconda settimana consecutiva “Giovani Talenti” racconta la storia di quei battitori liberi che nel Belpaese non servono. In Italia prevale l’”esecutore”, non il talento. Per questo il Talento (con la T maiuscola) non torna più.

A quel punto Giovanni opta per restare negli Stati Uniti: nel giro di pochi anni scala le posizioni presso un’importante azienda fermaceutica americana, dedita alle ricerche sul cancro. Attualmente Giovanni vi ricopre l’incarico di Senior Medical Director.

Ospiti della puntata sono il professor Armando Santoro, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Clinico Humanitas, che di Giovanni è stato il mentore ai tempi della sua specializzazione in Italia. E Paolo Macchiarini, il superchirurgo della trachea, che questa estate ha molto fatto parlare di se’ sui giornali, denunciando la propria voglia di lasciare nuovamente l’Italia.

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La discussione lanciata in trasmissione, aperta – in particolare – ai nostri giovani medici: “Ritenete inevitabile un espatrio dei camici bianchi, per ottenere opportunità, salari e posizioni professionali adeguate? E perché risulta così poco attraente -per voi giovani medici- ipotizzare un rientro in Italia? C’è un problema di valorizzazione e adeguata progressione professionale meritocratica, per i giovani medici italiani nel Belpaese?

Scrivi la tua a: giovanitalenti@radio24.it

Alla prossima puntata: sabato 23 ottobre, dalle 15 alle 15.30 (CET), su Radio 24. Vi aspetto!

www.fugadeitalenti.wordpress.com

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