Il 20 marzo, alla vigilia del voto, il governatore aveva detto: "La nostra regione ha raggiunto l'autosufficienza energetica". Ora il ministro Paolo Romani afferma che "una delle centrali sarà in Lombardia". E incassa l'apertura del Pirellone
“Ho parlato molto chiaramente affermando che la Lombardia ha raggiunto l’autosufficienza energetica. Non abbiamo quindi bisogno di centrali nucleari”. Con queste parole il presidente Roberto Formigoni, lo scorso 20 marzo, in piena campagna elettorale per le regionali, svelava la sua posizione in fatto di siti nucleari. Dieci giorni dopo il governatore veniva confermato alla guida del Pirellone.
Passano 7 mesi e la posizione di Formigoni si ammorbidisce. Il motivo? Basta leggere le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani: “Almeno una delle quattro centrali nucleari previste in Italia – ha detto il neoministro il 18 ottobre – dovrebbe venire costruita in Lombardia. Ho incontrato Formigoni, il quale non ha fatto opposizioni pregiudiziali all’installazione di centrali nucleari in Lombardia. Ho riscontrato una disponibilità della Regione”.
Quindi il governatore ha cambiato idea? Sicuramente è meno perentorio rispetto alla campagna elettorale. Basta leggere le sue dichiarazioni alle agenzie: “Per quanto riguarda l’eventuale localizzazione di una centrale nucleare in Lombardia ne parleremo, ne discuteremo, ci confronteremo, vedremo le condizioni, le opportunità e ne parleremo con il territorio”. Neppure una parola sulla autosufficienza energetica sbandierata come un successo della sua giunta in campagna elettorale.
La Lombardia avrà dunque la sua centrale? E se sì, dove? A svelare le possibili localizzazioni sono Mario Agostinelli e Alfonso Navarra del Comitato antinucleare Energia felice: “Sono due i siti candidati ad ospitare una nuova centrale. Caorso, in Emilia Romagna (dove esiste la centrale più grande e più recente d’Italia) ma confinante con la provincia di Lodi. Questo sito avrebbe tutte le condizioni: un piano già predisposto per l’eventuale evacuazione in caso di incidente nel raggio di 50 Km, l’approvvigionamento di acqua dal Po, il deposito temporaneo di scorie e un elettrodotto di grande portata per mettere in rete l’energia. Per l’altra ipotesi ci si sposta in provincia di Mantova, tra Ostiglia e Sermide, dove esistono già due centrali e le strutture necessarie a metterne in funzione una terza”. Per ora sono solo ipotesi ma per convincere le popolazioni ad accettare l’atomo in casa è probabile che il ministro Romani farà ricorso al “metodo francese”: offrire incentivi ai Comuni che si candidano ad ospitare gli impianti.
La road map del nucleare governativo, quindi, prosegue: l’oncologo Umberto Veronesi è quasi certo della nomina a presidente dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare. La Sogin ha una nuova dirigenza (Giancarlo Aragona è il presidente e Giuseppe Nucci l’amministratore delegato), dopo il commissariamento, durato oltre un anno. Sogin è la società (100% di proprietà del Tesoro) che nel piano nucleare del governo dovrà occuparsi del Parco Tecnologico, compreso il deposito delle scorie radioattive. Sarebbero già 52 le “aree adatte” individuate. Una lista finita nel cassetto, in attesa dei criteri che dovrà fissare l’Agenzia per la sicurezza nucleare. Intanto i comitati spontanei antinucleari si organizzano in occasione dell’anniversario del referendum del 1987 che ha sancito la fine della corsa all’atomo italiano. Per il 6, 7 e 8 novembre sono previste manifestazioni in tutta Italia e la raccolta di 50mila firme necessarie ad avviare una proposta di legge di iniziativa popolare per togliere i soldi alla ricerca nucleare e spostarli alle energie rinnovabili.