Più diritti sul lavoro alle donne, ma non in tempo di crisi. Il Parlamento europeo si presenta spaccato all’appuntamento con il voto sul congedo lavorativo di maternità e paternità del 21 ottobre 2010. Da una parte gli interessi di milioni di lavoratrici europee e le pari opportunità sul lavoro, dall’altro il bilancio di aziende, piccole, medie e grandi, alle prese con una congiuntura sfavorevole. Crisi economica che rischia di trasformarsi in una grossa scusa per “non decidere” su una questione aperta ormai da troppi anni: il prolungamento del congedo per maternità delle lavoratrici e la loro retribuzione. Ciliegina sulla torta, il tanto dibattuto congedo di paternità, una chimera nell’Europa a 27.

A Strasburgo il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria, è chiamato a votare il “rapporto Estrela” (dal nome della sua relatrice, la portoghese socialista Edite Estrela) che propone in sintesi quattro punti cardine: il prolungamento della durata minima obbligatoria della maternità da 14 a 20 settimane; la retribuzione mensile piena, vale a dire al 100% dello stipendio, per la lavoratrice; la definizione di standard in materia di salute, sicurezza sul lavoro e divieto di licenziamento per le lavoratrici incinte; l’introduzione del congedo di paternità nella legislazione Ue.

Il “rapporto Estrela”, approvato con una risicata maggioranza in commissione parlamentare per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, si inscrive nella revisione della Direttiva 92/85/CEE volta a “migliorare la sicurezza e la salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti o in periodo di allattamento”. L’Estrela si è spinta oltre la timida proposta della Commissione europea che aveva portato le settimane di maternità a 18, “fallendo – secondo la relatrice – nel ridurre le differenze tra uomini e donne nel mercato del lavoro, sia per quanto riguarda l’equilibrio tra vita personale e privata sia sulla condivisione di responsabilità”.

L’approvazione del rapporto non cambierebbe molto in Italia per quanto riguarda la durata del congedo, già obbligatorio per 5 mesi con altri 6 facoltativi e per condizioni eccezionali. La retribuzione è fissata all’80%, alla quale va aggiunto un 20% per alcuni contratti collettivi, quindi in pratica la copertura è totale (i sei mesi facoltativi sono invece al 30%). Una situazione ben più rosea che in Germania, dove i mesi sono 3 e per ricevere lo stipendio bisogna aver stipulato una polizza assicurativa, e non si percepiscono più di 390 euro.

Ad ogni modo, l’innalzamento obbligatorio della retribuzione al 100 per cento non permetterebbe più di giocare al ribasso. La vera novità nell’ordinamento italiano sarebbe l’introduzione del concetto di congedo di paternità, al momento totalmente assente, che andrebbe ben al di là dell’attuale “congedo parentale” previsto in forma facoltativa e non strettamente collegato al parto, per il quale la retribuzione è comunque al 30%. Infine, l’approvazione del rapporto porterebbe anche a nuove norme sul lavoro notturno e straordinario, nonché a periodi aggiuntivi alla maternità pienamente retribuiti in casi eccezionali come parto prematuro, neonato disabile o parto plurimo.

La “relazione Estrela” è salutata con entusiasmo dall’European women lobby (Ewl), un network internazionale tra associazioni per la promozione dei diritti della donna, che parla di “7 miti” usati dai detrattori dei diritti delle lavoratrici per bloccare l’approvazione del rapporto. Il “mito” principale, secondo l’associazione, consiste nell’impossibilità per le piccole e medie imprese di sopportare congedi di maternità di 20 settimane retribuiti al 100%. “In 24 Stati Ue su 27 è il sistema sociale pubblico che contribuisce in maniera sostanziale alla retribuzione delle lavoratrici in maternità, quindi non c’è nessun onere eccessivo per le Pmi”, afferma Brigitte Triems, presidente Ewl.

E poi la crisi economica, secondo l’associazione usata come spauracchio per giustificare una cinghia sociale troppo stretta. “Assicurare alle donne un sicuro ingresso nel mondo del lavoro non può che irrobustire l’economia europea sul lungo periodo”. L’associazione ricorda che proprio la crisi, usata adesso per chiudere i rubinetti del welfare, ha portato l’Ue a stanziare 1000 miliardi di euro solamente per salvare le banche inglesi. John Monks, segretario generale dell’ European trade union confederation, ha ribadito che “la crisi rende ancor più importante assicurare alle lavoratici la protezione dei loro diritti di donna”.

Proprio la dialettica tra costi e benefici costituisce il pomo della discordia tra favorevoli e contrari ad un maggiore congedo di maternità. Una diatriba per la quale è stato commissionato uno studio alla società di consulenza Ramboll consuting group. Difficile, tuttavia, prevedere dei costi standard, vista le molte differenze tra gli ordinamenti dei 27 Paesi Ue.

Secondo un rapporto presentato dalla Presidenza svedese dell’Unione europea nell’ottobre 2009, l’eliminazione delle discriminazioni di genere sul lavoro, e quindi una maggiore tutela della donna, porterebbe ad un aumento del Pil europeo del 30 per cento, addirittura del 35 nel Regno Unito, Olanda, Grecia e Malta. L’Organisation for european economic co-operation> (Oecd) ha messo in rilievo, già nel 2006, come nei Paesi in cui vige un congedo di maternità più lungo (Danimarca, Svezia, Islanda) l’impiego femminile raggiunge picchi dell’80 per cento, mentre la media Oecd è del 57 %.

Sul fronte opposto Business Europe, il network di federazioni industriali europee (tra cui Confindustria), contesta addirittura alcuni assunti dello studio indipendente Ramboll consuting, come il fatto che l’estensione del congedo di maternità porterebbe ad un aumento dell’1% delle donne nel mercato del lavoro controbilanciando gli effetti negativi dei costi aggiuntivi. Business Europe, e quindi Confindustria, ritengono che il “rapporto Estrela” “rischi di introdurre elementi troppo rigidi nel rapporto di lavoro con conseguenze onerose per i datori di lavoro”. Semaforo rosso anche al congedo di paternità.

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