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Il nucleare iraniano? Made in China…

In violazione dell’embargo Onu le imprese cinesi rifornirebbero di materiale militare e tecnologia nucleare il regime di Teheran. Le rivelazioni di una fonte chiave al Washington Post

Non bastassero le persistenti contese commerciali e l’ormai conclamata “guerra delle valute”, Cina e Stati Uniti si trovano ora a fronteggiare un nuovo e non meno pressante problema: le ambizioni atomiche iraniane. Il Governo americano avrebbe infatti redatto una lista nera di imprese cinesi responsabili di aver rifornito il regime di Teheran tecnologia chiave per lo sviluppo dei sistemi missilistici e del suo programma nucleare. Il tutto, ovviamente, in aperta violazione con l’embargo imposto dalle Nazioni Unite. Lo ha riferito in esclusiva il Washington Post citando una fonte anonima dell’amministrazione Obama. Secondo quest’ultima, gli Usa avrebbero chiesto al governo di Pechino di bloccare queste relazioni commerciali ottenendo se, non altro, la promessa di un’indagine.

Tra gli ultimi scambi proibiti sull’asse Pechino-Teheran si segnalerebbe in particolare la cessione di tecnologia e materiale militare ma anche la fornitura di fibra di carbonio ad alta qualità utilizzata per la costruzione di centrifughe più efficienti per l’arricchimento dell’uranio. Negli ultimi quindici anni, ricorda per altro il Washington Post, gli Stati Uniti hanno rifornito ampiamente la Cina di tecnologia nucleare da utilizzare per scopi civili. Tale operazione avrebbe garantito all’industria Usa contratti per miliardi di dollari.

La denuncia, riferisce ancora il quotidiano Usa, sarebbe stata presentata il mese scorso nell’ambito di un incontro tra le autorità cinesi e una delegazione di Washington guidata dal consigliere speciale per la non proliferazione e il controllo degli armamenti del Dipartimento di Stato Robert J. Einhorn. Secondo la stessa fonte interna che ha confermato l’esistenza dell’incontro non sarebbe da escludere la buona fede di Pechino. Le imprese coinvolte negli scambi commerciali con Teheran, infatti, potrebbero aver agito senza aver ottenuto alcuna autorizzazione da parte del loro governo. In risposta alle rivelazioni del Washington Post, il portavoce del ministero degli esteri cinese ha ribadito la correttezza del suo governo ma, rileva il quotidiano Usa, non ha confermato né smentito eventuali violazioni delle regole da parte delle società della lista di Einhorn. L’esistenza di buone relazioni militari tra Cina e Iran, per altro, non costituirebbe una novità. Durante la seconda guerra libanese dell’estate del 2006, ha ricordato di recente il quotidiano Haaretz, i miliziani Hezbollah lanciarono contro una nave militare israeliana un missile C-802 di fabbricazione iraniana. Tale ordigno era stato costruito con l’impiego di tecnologia cinese.

Nel corso dell’ultima trasferta cinese, la delegazione Einhorn avrebbe inoltre puntato il dito contro la persistente cooperazione offerta da Pechino a Teheran in campo energetico. Le sanzioni Onu, in verità, non vietano alla Cina di acquistare petrolio dall’Iran, ciò non di meno gli Stati Uniti vedrebbero decisamente di buon occhio un ridimensionamento degli investimenti condotti nella nazione mediorientale dei colossi energetici China National Petroleum e China Petroleum & Chemical Corporation. Un desiderio difficilmente realizzabile almeno a giudicare dal trend evidenziatosi ultimamente con estrema chiarezza.

Negli ultimi cinque anni, ricorda infatti il quotidiano di Hong Kong Asia Times, le imprese cinesi hanno investito 120 miliardi di dollari nel settore energetico di Teheran, mentre il valore degli scambi tra i due Paesi si è attestato a quota 27 miliardi nel corso del solo 2009 registrando una crescita del 35% rispetto all’anno precedente. Un rapporto sempre più solido, dunque, destinato con tutta probabilità a rafforzarsi ulteriormente in futuro. L’Iran è oggi il secondo fornitore petrolifero di Pechino di cui compensa il 14% delle importazioni di oro nero. Secondo l’International Energy Agency, nei prossimi vent’anni la Cina contribuirà per il 40% alla crescita della domanda globale di petrolio. Per gli Ayatollah si prevedono affari d’oro.