Ho preso la parola perché credevo di essere, qui tra di voi, quella che – per ragioni di età – aveva conosciuto Agata per prima (ma poi Giovanna Cau mi ha smentito, è stata lei). Comunque l’anno era il 1944, Roma era stata appena liberata, e poiché quell’estate non si poteva andare in vacanza, decisi di provare a saltare il noioso quinto ginnasio e tentare ad Ottobre l’esame di ammissione al liceo. Una mia compagna di scuola, per di più una fervente fascista, mi diede una indicazione per le ripetizioni: “Vai dalla famiglia Apicella, dove c’è la mamma che insegna matematica e la figlia che insegna latino. Prenderai – disse – due piccioni con una fava…”.

A quei tempi – non erano stati ancora ripristinati  i mezzi pubblici – fare un lungo tragitto in bicicletta era un bel vantaggio. Non sapevo ancora, pedalando lungo viale Regina Margherita, che di piccioni ne avrei presi molti più di due.  L’incontro con Agata e tutta la famiglia è stato un fatto fondante della mia vita. Anzi, è lì che è cominciata la mia curiosità per la politica, perché è lì che per la prima volta ho scoperto l’antifascismo, quello serio, e non quello all’acqua di rose che si respirava nella mia famiglia: la mamma, il fratello Vincenzo, Agata che mi parlava sempre del suo fidanzato “Moretti”.

Che poi era Luigi, e che poi l’avrebbe sposata. Olga, la sorella minore, era ancora piccola, ma poi si è sposata con Valentino Gerratana, che poi è diventato il più importante gramscista italiano (i Moretti piccoli – Nanni e Franco – erano ancora lontani da venire).  Con Agata studiavamo anche latino, naturalmente, e lei era bravissima (mi ha detto Franco, stamattina, che ha voluto dare l’ultima lezione al nipote Pietro il giorno prima di morire).

Ma non è stato il latino la cosa  più importante, la visione della vita, l’impegno, l’altro orizzonte che mi ha aperto. Perché Agata aveva una straordinaria capacità comunicativa. Quando era vicepreside del Visconti quel liceo era diventato un vero laboratorio politico. Era una persona solare, radiosa. Perderla è molto triste. Ma possiamo salutarla con allegria perché Agata ha avuto una bella vita: piena, perché lei era una creatura ricca.

Luciana Castellina

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