Un altro anno da paese parzialmente libero. Nella classifica annuale di Reporters sans frontières l’Italia mantiene il 49° posto a pari merito con il Burkina Faso e in leggero vantaggio su El Salvador. Nelle motivazioni del rapporto, pubblicato oggi, si legge: “Non c’è stato alcun progresso in vari paesi dove Rsf ha evidenziato problemi. Tra questi, soprattutto, Francia e Italia, dove gli eventi dello scorso anno – le violazioni della tutela delle fonti dei giornalisti, la continua concentrazione della proprietà dei media, le dimostrazioni di disprezzo e di impazienza da parte di esponenti governativi nei confronti dei giornalisti e del loro lavoro, le convocazioni giudiziarie – hanno confermato la loro incapacità di invertire questa tendenza.

È inquietante vedere come molti paesi membri dell’Unione Europea continuino a scendere nella classifica – ha dichiarato oggi Jean-François Julliard, segretario generale di Rsf – Se non si marcia insieme, l’Unione Europea rischia di perdere la sua posizione di leader mondiale nel rispetto dei diritti umani. Se ciò dovesse accadere, come potrebbe essere convincente quando chiede ai regimi autoritari miglioramenti nel rispetto dei diritti umani? C’è bisogno urgente per i paesi europei di recuperare un comportamento esemplare”.

Il Nord Europa sempre in testa – Al primo posto, a pari merito, si trovano Finlandia, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Svizzera. Tutti hanno già avuto quest’onore da quando la classifica è stato creata nove anni fa, tranne che nel 2006 (Norvegia) e 2009 (Islanda). Si tratta di sei nazioni in cui il rispetto per i giornalisti e in generale per il lavoro dei mass-media è considerato un valore intoccabile così come la necessità di proteggerli da abusi giudiziari.

Dieci paesi in cui essere giornalisti è pericoloso – Fino al 2009, nelle otto edizioni precedenti della classifica, le ultime tre posizioni della classifica erano sempre occupate da Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan. Quest’anno, il “gruppo delle peggiori” si è allargato a dieci paesi, caratterizzati dalla persecuzione ai danni dei media e da una completa mancanza di notizie e informazioni: oltre ai 3 già citati, Laos, Rwanda, Yemen, Cina, Sudan, Syria, Birmania e Iran. In paesi apertamente in guerra o dove sono presenti conflitti interni, come l’Afghanistan, Pakistan, Somalia e Messico, “una cultura di violenza e impunità – spiega il comunicato di Rsf che accompagna la classifica – rende la stampa il bersaglio preferito”. I giornalisti vengono spesso sequestrati. Basti pensare a Stéphane Taponier e Hervé Ghesquière, giornalisti della TV francese in ostaggio in Afghanistan da 300 giorni.

La crescita economica non significa libertà di stampa – I paesi del cosiddetto “BRIC” – Brasile, Russia, India e Cina – hanno avuto una fase di sviluppo economico abbastanza simile, ma le differenze nel campo della libertà di stampa per il 2010 sono notevoli. Grazie a positive modifiche legislative, il Brasile (58°) è salito di 12 postazioni rispetto all’anno scorso, mentre l’India (122°) è scesa di 17. La Russia è classificata molto in basso, al 140° posto. Il caso di Anna Politkovskaya, la giornalista russa assassinata il 7 ottobre del 2006 davanti all’androne della propria abitazione, che ha avuto grande risonanza in Europa, non è un caso isolato. Il 19 gennaio dello scorso anno Anastasia Baburova, giornalista 25enne russa che scriveva nello stesso giornale della Politkovskaya, è stata uccisa nel pieno centro di Mosca con un colpo di pistola alla nuca. Infine, la Cina, che come testimoniano le reazioni al premio Nobel assegnato a Liu Xiabo, condannato a 11 anni di carcere continua a censurare e incarcerare i dissidenti. Unica nota positiva del panorama cinese, una blogosfera molto attiva e vivace che continua, con grande fatica, a “bucare” il muro della censura.

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