Il “successo” del ministro Giulio Tremonti presentato ai giornali sull’accordo raggiunto sul nuovo Patto di stabilità europeo è in realtà un compromesso fra la linea dura tedesca e l’elasticità estrema che chiedevano i Paesi sulle misure da adottare.
Il parametro dello stock di debito pubblico in relazione al Pil rimane sullo sfondo, l’Italia non sarà obbligata a ridurre il proprio debito del 3 per cento all’anno con misure draconiane ma ci “saranno formule flessibili gestibili e ragionevoli” da parte del governo italiano. Non dobbiamo, cioè, fare una manovra correttiva subito ma la dobbiamo concordare con gli altri paesi europei, Germania in testa, a seconda delle condizioni dell’economia internazionale e dei mercati. Non sappiamo però cosa potrebbe succedere se fossimo esposti a una nuova crisi finanziaria.
Il meccanismo per sanzionare i paesi poco virtuosi nel rapporto deficit/Pil ha tuttavia molto di italiano e molto di “politico”. I Paesi che dovessero sforare i parametri stabiliti dai trattati non subirebbero subito le sanzioni previste ma avrebbero sei mesi di tempo per operare manovre correttive e rientrare nei parametri. In pratica ai governi viene lasciata la possibilità di “sbagliare” le previsioni di bilancio ad inizio anno per poi correggerle in corso d’opera con il ritornello “ce lo chiede l’Europa”. Si capisce che è profondamente diverso che un esecutivo si prenda la responsabilità delle restrizioni finanziarie ab origine oppure che, ad esempio, sovrastimi le previsioni di crescita economica per poi “casualmente” accorgersi dell’errore e correre ai ripari riversando la colpa sulla congiuntura internazionale e sulla Commissione europea. Non è forse quello che abbiamo già visto con la manovra economica da 25 miliardi varata in primavera dal governo Berlusconi?
Anche con questo quadro più benevolo per le esigenze politiche dell’Italia le restrizioni di bilancio rimangono tutte intatte, il ministro del Tesoro sa bene che nei documenti ufficiali le previsioni di crescita sulla Finanziaria non possono essere sovrastimate all’infinito. E soprattutto sa anche che le manovre correttive di risanamento, che saranno necessarie, per essere digeribili dovranno essere nell’ordine dei 15-16 miliardi di euro, cioè di un solo punto percentuale di Pil. Dunque la frase pronunciata da Tremonti “ora passeremo alla fase dello sviluppo” dopo l’approvazione della finanziaria dal Consiglio dei ministri suona più come una minaccia che come una promessa.
Le tabelle numeriche di cui è composta la nuova legge di bilancio non lasciano dubbi. Come ripete Tremonti, “i numeri vengono prima della politica”. E infatti la politica verrà zittita mettendo la fiducia su un provvedimento che contiene i soliti tagli lineari a tutti i ministeri. E addio, o almeno arrivederci, alla tanto sbandierata riforma dell’Università, che non ha copertura finanziaria. Tremonti, tuttavia, rassicura: i soldi si troveranno entro fine anno con il decreto “milleproroghe” nel quale prenderanno corpo le minacce di passare allo sviluppo. Sono ben nascoste nelle pieghe di bilancio, ma se ne intravedono i contorni. Nell’oscillazione tremontiana fra rigore e finanza creativa, il pendolo si sta spostando verso la seconda. Per diminuire il pressing dei ministri e di Confindustria, Tremonti sta pensando di mantenere intatte le tabelle contabili e ricorrere a operazioni fuori bilancio, che aumentano la vulnerabilità della struttura finanziaria dell’Italia ma non vengono contabilizzate come debito. E quindi, subito dopo aver tuonato da Washington contro i “bankers”, il ministro lascia filtrare al Sole 24 Ore che i tecnici di via XX settembre stanno lavorando al progetto di “Scuola Spa”. Cioè un gigantesco fondo immobiliare di immobili scolastici che verrà venduto ai privati che ricaveranno proventi dall’affitto che lo Stato pagherà al fondo stesso, parte dei soldi recuperati dalla vendita saranno usati per un programma di ristrutturazione dell’edilizia scolastica. Come se un proprietario di una casa vendesse il proprio immobile a un terzo, con i soldi ricavati ristrutturasse la casa venduta e pagasse poi l’affitto per tutta la vita. Che affarone!
Alla pubblicazione della notizia i “bankers” sono entrati subito in agitazione e hanno rivisto i propri budget per il 2011 alla luce di questa super notizia, memori dei milioni di euro in commissioni occulte incassati con le cartolarizzazioni degli immobili pubblici SCIP, SCIP 2 e FIP. Su quelle operazioni, la Corte dei conti ha detto che “ il programma dismissivo risulta essere stato avviato a seguito, non già di un’accurata analisi costi/benefici, ma perché si ritenne necessario e urgente agire per ridurre l’indebitamento e/o il debito, evitando così di fare ricorso a strumenti alternativi di politica di bilancio”. Le stesse motivazioni per le quali si vorrebbe procedere a una ondata di operazioni fuori bilancio per dare una parvenza di “normalità” all’azione di governo. Si tratta di operazioni straordinarie di alienazione del patrimonio fatte non per diminuire il debito ma solo per diluire nel tempo e attraverso la spesa corrente, i costi del funzionamento della macchina statale.
Da il Fatto quotidiano del 20 ottobre 2010