Dopo il celebre film del 1987, è Wall Street Il denaro non dorme mai, unico sequel nella carriera di Oliver Stone, già fuori competizione a Cannes 63 e da oggi nelle nostre sale. Se l’originale gli valse l’Oscar nel completo del corporate trader Gordon Gekko, Michael Douglas ritorna, ma dopo 23 anni il cattivo – sigh – non è più lui: la sua avidità (greed) ora è diffusa e trademark delle banche d’affari, con speculazioni e titoli-spazzatura che portano alla rovina uomini e imprese. D’altronde, se Stone riconosce come il capitalismo si sia fatto ancor più crudele e deleterio, Douglas sulla Croisette era arrivato a formulare dubbi sul risultato al box office, perché la realtà ha affiancato e superato la finzione: “Come convinceremo il pubblico che non ha già visto questo film al telegiornale?”.
Comunque, il denaro che non dorme mai si sveglia con il suo Gordon, che esce dopo otto anni di prigione e non trova nessuno: morto d’overdose il figlio, assente la figlia, interdetta l’attività finanziaria, lo attende solo il suo vecchio cellulare, che oggi pare un citofono. Non gli resta che dare alle stampe un bestseller biografico, dal titolo eloquente Is Greed Good?, mentre la moralità – parzialmente – ha il visino e il no profit della figlia Winnie (Carey Mulligan) e – ancor più parzialmente – il capello impomatato del fidanzato Jake (Shia LaBeouf), giovane trader sospeso tra ambizione ed energie rinnovabili. A scopo vendetta – il suo mentore (Frank Langella) si è suicidato per le speculazioni del rivale Bretton James (Josh Brolin) – Jack ricorrerà a Gekko, a sua volta deciso ad utilizzarlo per riconquistare Winnie.
Come finirà? Benino per loro, abbastanza male per il film, che alla crudele, doverosa denuncia della cupidigia di Wall Street preferisce l’accomodante e un filo consolatorio buonismo formato famiglia, con un bebè in arrivo, l’esame di coscienza – pur ambiguo – di Gekko e il vissero felici e contenti nonostante la crisi. Credibile il ritorno di Douglas, (i soldi li sa fare ancora il suo Gekko, ma perde drasticamente in appeal), viceversa troppo giovani e pallidi LaBeouf e la Mulligan, Wall Street 2 non vola dove, purtroppo, osano i falchi dell’alta finanza: Stone preferisce il nido, credendo ancora oggi che la crisi abbia nomi e cognomi definibili e incolpabili. Beata illusione, chi in Italia oltre al “mostro” Bernie Madoff (peraltro collegato a latere) sa indicare qualche altro responsabile dell’immane debacle di Goldman Sachs e delle altre cosiddette “banche d’affari”? Più di qualcosa è cambiato: che questo sequel non lo riconosca è una seria ipoteca sulla sua effettiva riuscita: ok arrivare sulla crisi in ritardo – anche gli analisti economici l’hanno fatto… – ma la critica su questo blob rapace, su questa bolla rovina-famiglie la liquidiamo con il 10% dei profitti al nipotino in arrivo?