Dopo una settimana di tranquillità la stabilità del Governo torna a scricchiolare. Rumorosamente. Il Capo dello Stato esprime forti perplessità sullo scudo per il Colle previsto dal Lodo Alfano, che quindi garantirebbe l’immunità soltanto a una carica dello Stato: il presidente del Consiglio. Diventando così una legge che “protegge” solo il premier. Immediato lo stop di Gianfranco Fini: “Mai più leggi ad personam”. A Mirabello, ha ricordato, “dissi che bisogna tutelare la funzione e non la persona, come fece la Francia quando Chirac era il capo dello Stato”.
Per Silvio Berlusconi la strada è sempre più stretta. Nel pomeriggio, garantiscono alcuni suoi collaboratori, si sarebbe pentito di aver rilasciato quell’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. “Non ho mai reclamato alcuna forma di tutela”, ha detto al quotidiano tedesco. “Il mio partito ha presentato un disegno di legge in base al quale durante il mandato vengono sospesi i processi contro il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio; anche i termini di prescrizione vengono sospesi durante il mandato”. E’ a questa dichiarazione che Giorgio Napolitano ha risposto: Io l’immunità non la voglio, non la fanno per me. Poche volte prima d’ora il Colle era stato così chiaro.
Berlusconi ha convocato il Guardasigilli a Palazzo Grazioli per verificare come superare i paletti che continuano ad aumentare. La riforma della giustizia non arriverà sul tavolo di Palazzo Chigi prima di due settimane, considerato lo slittamento alla prossima riunione del pacchetto sicurezza e immigrazione. In questo periodo Alfano deve verificare se i tre “no” espressi dai finiani siano insuperabili o se la trattativa porterà a un testo condiviso. Ma il titolare della Giustizia è stato chiaro: il provvedimento va modificato. E pesantemente. Il lodo Alfano bis deve essere blindato, non si può perdere tempo in vista della decisione che la Corte Costituzionale prenderà il 14 dicembre sul legittimo impedimento, la norma ponte verso il lodo.
Intanto, settimana prossima Alfano incontrerà, insieme a Niccolò Ghedini, la finiana Giulia Bongiorno, per confrontarsi nuovamente. I tre no della Bongiorno alla bozza di riforma – sulla maggioranza laica del Csm, sui maggiori poteri al ministro della Giustizia e su una nuova collocazione della Polizia giudiziaria – sono per Alfano “viali collaterali” su cui bisogna lavorare ma, andava dicendo ieri, la “strada principale è spianata” visto che i finiani hanno dato il via libera all’architrave della riforma, costituito dalla separazione delle carriere di giudici e pm e al doppio Csm. Ma Gianfranco Fini è stato chiaro: “Credo che sia interesse del ministro Alfano coinvolgere preventivamente Futuro e Libertà nella preparazione del ddl costituzionale sulla giustizia, che ha un iter lungo, in quattro letture”. Sulla carta, dunque, uno dei tre no espressi dalla Bongiorno potrebbe diventare un punto di caduta.
“Non è materia teologica”, assicura il ministro quindi si può trattare. Ma la priorità è ora sminare il terreno accidentato del lodo Alfano bis. Anche se Fabio Granata, in tarda serata, ha sbarrato la strada: “Dopo le parole del presidente Napolitano si volta pagina sul lodo. Si dovrà ridiscutere tutto e radicalmente. Peraltro oggi avevamo appreso che non era stato richiesto dal premier. Quindi può serenamente essere archiviato”. Ma, arrivati a questo punto, è sempre più probabile che a finire in archivio sia il Governo Berlusconi.