Un consigliere rinviato a giudizio, una giornalista sotto scacco dai clan, oltre 600 milioni di euro di beni sequestrati dall'inizio dell'anno. Torna l'incubo di Fondi
Già poche settimane fa il prefetto di Latina Antonio D’Acunto ha invitato il sindaco Maurizio Lucci a “risolvere” la posizione della consigliera. Allora Rosa era rimasta al suo posto. Ora arriva la sospensione. “Non c’è solo la consigliera sotto processo per riciclaggio, ci sono altre indagini anche per abusi edilizi – attacca Antonio Turri, presidente regionale di Libera – non è l’unica indagata in quel consiglio comunale, a garanzia di tutti ritengo utile che il prefetto invii subito una commissione di accesso per verificare la situazione, prima che sia troppo tardi. Non vogliamo un’altra Fondi”.
Anche la stampa è sotto attacco. La giornalista Maria Sole Galeazzi lavora per il quotidiano Latina oggi. Ad agosto ignoti le hanno piazzato un bigliettino sulla macchina “farai la fine delle cornacchie”, in riferimento a quelle trovate morte lungo il litorale a due passi dalla villa che ospitava Roberto Saviano. Poi un’e-mail anonima, su cui indaga la polizia postale, e lettere per denigrarla.
Per capire, allora, quale sia la situazione a Sabaudia bisogna spulciare le carte del processo. Dove spunta anche l’esito di un’asta giudiziaria che Salvatore di Maio avrebbe “controllato” con violenze e minacce nei confronti degli altri partecipanti per evitare che presentassero offerte di rialzo. Lo scopo era di ottenere i beni, intestandoli fittiziamente ad altri soggetti che non sarebbero stati, secondo l’accusa, nelle possibilità economiche di acquisirli. Accuse che la difesa respinge punto a punto. Per i legali, infatti, le attività economiche sono riconducibili al lavoro decennale, nel settore commerciale, della famiglia Di Maio. E soprattutto non ci sono riscontri di passaggi economici dai Cava ai Di Maio e chi ha partecipato alla gara, tranne qualcuno risentito per i modi, ha negato ogni pressione o intimidazione.
Un gruppo criminale i Cava che, i magistrati della procura nazionale antimafia, descrivono come “una struttura familiare che si fonda sulle figure principali di Biagio Cava e del cugino Antonio Cava detto ‘ndo ‘ndo. Gli stessi sono coadiuvati da numerosi soggetti a loro legati da vari vincoli parentali, nonché da una ampia serie di soggetti affiliati(…)”. In rapporti con il clan Genovese, ma anche con i Fabbrocino, padroni dell’area vesuviana.
In attesa degli sviluppi del maxi processo, Sabaudia è anche al centro di sequestri di immobili e terreni nell’ambito di un’inchiesta sempre della dda di Napoli del marzo scorso contro il clan Mallardo. Dopo l’ultimo maxi sequestro, la questura ha fatto due conti: “ Abbiamo sequestrato dall’inizio dell’anno beni pari a una cifra superiore ai 600 milioni di euro, intestati a persone residenti in questa provincia”. Un’attività che non passa inosservata, ai primi di ottobre sono arrivate le minacce al questore Nicolò D’Angelo e al capo della mobile Cristiano Tatarelli.
di Nello Trocchia