Chi ha seguito la puntata di Report di domenica scorsa ha potuto vedere di che cosa sono capaci “gli energumeni del cemento”. Paolo Mondani ha infatti illustrato la distruzione delle coste dei Caraibi ad opera della speculazione edilizia: spiagge che scompaiono per far posto a moli di cemento, la natura violata nella sua integrità: 180 ettari di paradiso sottratti per sempre alla naturalità.
Quello che sta accadendo in questi giorni in uno dei pochi lembi di costa della Sardegna scampato alla cementificazione selvaggia dei decenni passati è molto più grave: si tratta di 700 ettari (un campo di calcio ha dimensione di un ettaro) di territorio incontaminato su cui si vogliono a tutti i costi costruire 150 mila metri cubi: ville esclusive e un resort a cinque stelle. Si tratta della splendida costa di Malfatano, che significa il luogo della speranza. I protagonisti dell’ennesimo scandalo urbanistico italiano vorrebbero invece riempirla di cemento e asfalto, altro che speranza.
Perché parliamo di scandalo? Perché i proprietari dell’area hanno ottenuto i permessi per costruire gli edifici attraverso la collaudata tecnica dello “spezzatino”. In sintesi, pur in presenza di un disegno unico, vengono presentati al comune di Teulada cinque stralci progettuali. In questo modo gli edifici appaiono con un impatto ben più modesto: un conto è vedere disegnati 150 mila metri cubi di cemento, strade, parcheggi e quant’altro, altro conto è vederne cinque molto più piccoli.
E’ lo stesso caso sollevato appena un anno fa sempre da Report. A Roma un potentissimo costruttore (Domenico Bonifaci, proprietario del quotidiano Il Tempo) ha ottenuto i condoni per un immensa costruzione di 200 mila metri cubi chiedendo la sanatoria per ogni alloggio. La legge del condono edilizio vietava infatti la sanatoria per immobili più grandi di 750 metri quadrati e sarebbe stato impossibile ottenere i condoni. Così viene presentato lo “spezzatino” e il comune non si accorge che le 700 domande di condono fanno parte di un unico complesso edilizio!
Anche nel caso di Malfatano nessuna delle amministrazioni coinvolte –comune, regione Sardegna e Soprintendenza di Stato- si è accorto del trucco e rispedito al mittente i cinque progetti richiedendone uno globale. In questa povera Italia le amministrazioni pubbliche sono preda dell’economia di rapina e fingono di credere che dietro questa nuova Colata, per citare il bel libro edito da Chiarelettere, ci sia un futuro di lavoro per la popolazione sarda. E’ questa la giustificazione di tutti gli amministratori –rigorosamente bipartisan- coinvolti: affermano infatti che di fronte alla grave crisi economica non si può chiudere la porta a generosi investitori.
E’ questo un tema non banale e conviene dunque discuterne perché la gigantesca crisi economica e finanziaria mondiale in cui tutti i paesi ricchi si dibattono non sembra trovare vie di uscita solide. Ma intanto onestà intellettuale vorrebbe che si facesse un bilancio dei quarant’anni che hanno cambiato il volto delle coste sarde riempiendole di cemento. Ogni volta che venivano concessi i permessi per costruire di devastanti progetti si cantava il solito mantra: non si può rinunciare allo sviluppo. La Sardegna è nel pieno di una crisi economica e sociale devastante proprio perché ha creduto a questa falsa promessa. Le case di vacanza si riempiono solo per due mesi e gli alberghi chiudono almeno per nove mesi all’anno. Invece di investire nella produzione si è preferito aprire autostrade alla speculazione edilizia. Perpetuando il meccanismo di distruzione delle bellezze della Sardegna si otterrà oggi il progresso che non è avvenuto in quarant’anni di laissez faire?
Non c’è persona in buona fede che possa sostenere questa tesi. Eppure gli amministratori pubblici continuano a propagandare questa favola. La prova di una vergognosa mala fede la troviamo anche in una clausola contrattuale stipulata tra il comune di Teulada e i proprietari. Vi si afferma che “nel caso venissero costruite case al posto di alberghi, i promotori dovranno pagare al comune un maggior onere di 200 euro al metro cubo”. Il sindaco di Teulada, Gianni Albai è entusiasta di questa norma e la pubblicizza a dimostrazione del rigore pubblico. Vediamo di fare due conti. Una villa è grande circa 200 metri quadrati, 600 metri cubi. Così quando gli speculatori edilizi chiederanno di trasformare gli alberghi in case dovranno pagare al comune poco più di 100 mila euro. Sembra tanto, ma una villa in quel paradiso si vende ad almeno 3 milioni di euro: seconde case regalate alla speculazione da amministrazioni compiacenti. Altro che sviluppo.
Tutte queste irregolarità sono state denunciate con forza da Italia Nostra con l’azione instancabile di Maria Paola Morittu e dal Gruppo di intervento giuridico, ma finora le amministrazioni pubbliche non danno segni di vita. Del resto, Renato Soru è stato sconfitto anche con l’aiuto di pezzi del centro sinistra proprio perché il suo rigoroso piano paesistico impediva simili speculazioni.
E come questa classe politica governa i beni comuni è dimostrato dell’albergo dell’isola della Maddalena, la scandalosa vicenda dello svolgimento del G8. Lo Stato ha speso 120 milioni di euro per realizzare l’albergo e ora lo ha dato in gestione alla Mita resort della famiglia Marcegaglia per un canone di 60 mila euro all’anno. Vuol dire che riprenderà le spese in 1500 anni! Un altro straordinario esempio di rigoroso uso dei soldi pubblici.
Che c’entra la Marcegaglia, si chiederà qualcuno. C’entra perché il nuovo resort di Malfatano sarà gestito dalla Mita. Dietro la grande speculazione sarda si scorgono ancora una volta le radici della crisi italiana. Tra i promotori dell’operazione speculativa condotta dalla società Sitas c’è infatti la classe dirigente italiana: la Sansedoni spa controllata dal Monte dei Paschi di Siena, la Benetton, il gruppo Toffano, il gruppo Toti (che sul suo sito già illustra il plastico dell’albergo). Un paese dedito esclusivamente alla speculazione immobiliare ha davvero poche speranze di futuro.
(ps. chi volesse rendersi conto della natura dello scempio, può vedere in rete il commovente documentario Furriadroxus di Michele Mossa e Michele Trentini)