Secondo i sondaggi di Ipr Marketing mostrati a L’Ultima Parola di Gianluigi Paragone, gran parte degli italiani considera eccessivo il racconto dei mass media dell’omicidio della povera Sarah Scazzi, ma nello stesso tempo l’88 per cento degli intervistati dichiara di seguire la vicenda in televisione.

Al pubblico italiano piace la telecamera morbosa, invasiva, quella che insegue le cugine, le sorelle e chissà quali parenti o amici di vittime e carnefici nelle storie dei crimini italiani. Insomma, l’argomento tira (per dirla con Enrico Lucci), o meglio ancora, fa share, dunque diamo in pasto tutta la mostruosità del racconto con particolari e retroscena spesso inventati. L’importante è vendere, fare ascolti.

Come si devono comportare i giornalisti davanti a un caso del genere? Ce lo dicono Maurizio Belpietro e Monica Setta, ospiti in studio da Paragone. In sintesi, siccome agli italiani piace il racconto delle storie dei vari Garlasco, Perugia, Cogne e ora Avetrana, allora i giornalisti fanno bene a stare lì a raccontare minuto per minuto tutte le novità, i colpi di scena che stravolgono i fatti. Fa bene quindi Panorama a raccontare i “gossip” (Setta dixit) su Sarah, anche se si tratta di notizie prive di fondamento. E poi il ragionamento di Monica Setta si riassume così: la televisione funziona perché crea attesa. E poi ancora: siccome la gente considera le tribune politiche qualcosa di inventato, i casi come quello di Sarah invece non possono essere manipolati perché sono realtà.

Ma – dicevamo – l’argomento tira e visto il calo di audience, come può Augusto Minzolini fare a meno di occuparsi di questa storia?

Lo sanno bene i conduttori di programmi come L’Italia in diretta, Mattino Cinque o (peggio ancora) Chi l’ha visto?

Il Fatto Quotidiano a differenza di altri giornali ha lasciato da parte il “gossip” limitandosi al solo racconto dell’inchiesta. Lo ha spiegato Sandra Amurri giornalista di questo giornale, invitata da Paragone e in collegamento da Avetrana, ai colleghi Belpietro e Setta, fiera di non aver mai utilizzato i termini “mostro” o peggio ancora “orco”.

La professionalità dei programmi pomeridiani (e non solo) si commenta da sola. Un po’ come quelle domande che facevano agli aquilani appena terremotati dopo aver passato la notte in macchina o in tenda: “sente freddo?” o “com’è dormire in macchina?”.

In tutto ciò stona la frase della giornalista Amurri che sempre in diretta da Paragone dice: “quelle telecamere che bloccano una strada intera non sono segno di civiltà”.

Ha ragione, anche perché tra i plastici di Vespa, le dirette dal cancello di casa Misseri, le rincorse ai parenti della cugina di Sarah, si fa molta fatica a distinguere il giornalismo dallo stalking mediatico.

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