Dopo aver passato quasi indenni la crisi perché “non sapevano l’inglese”, le banche italiane sarebbero oggi in pericolo. Proprio per gli stessi motivi che, finora, le hanno salvate: perché sono conservatrici, avverse al rischio e guidate da Fondazioni bancarie provinciali, troppo prudenti e a corto di liquidità. A sostenerlo è il Financial Times, che non usa mezzi termini. “Le banche italiane sono tra le meno capitalizzate in Europa, ora che le nuove regole di Basilea impongono requisiti di capitali molto severi, dovranno riuscire a spiegare ai mercati dove hanno intenzione di raccogliere nuove risorse”.
In poche parole serve capitale, le strade per raccoglierlo sono limitate e, a leggere il quotidiano finanziario inglese, al momento tutte difficili da percorrere.
La strada più immediata sarebbe quella degli aumenti di capitale. Ma “Unicredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi su questo sono categoriche: non ci saranno aumenti di capitale, piuttosto – sostiene Ft – si taglieranno i dividendi. Il capitale sarà accumulato dimezzando la porzione di utili destinata agli azionisti”, continua Ft. Una scelta considerata “politicamente sensibile”, visto che i principali destinatari dei dividendi sono proprio le fondazioni bancarie, “rette da potenti locali, che hanno sempre fatto affidamento ai dividendi per finanziare iniziative sociali”.
La strada dell’accantonamento degli utili, oltre ad essere sensibile “politicamente”, potrebbe essere difficilmente percorribile, almeno nel breve periodo. Perché, prima di accantonarli, gli utili bisogna produrli e le banche italiane sono oggi molto meno redditizie rispetto alle concorrenti europee. “Negli ultimi dodici mesi le banche italiane in borsa hanno reso mediamente il 13,2% in meno rispetto alla media delle banche europee. Durante la crisi hanno fatto meglio, ma ora la tendenza si è invertita”, scrive il Financial Times, citando la performance dell’indice FTSE top bank. Il motivo del basso rendimento starebbe nel DNA stesso dell’attività bancaria italiana, che sarebbe “troppo concentrata sulla clientela retail” e quindi troppo dipendente dai tassi di interesse, oggi a livelli minimi. In pratica le banche italiane si ostinano a “fare le banche” nel senso più classico del termine: raccolgono risparmi dalla clientela e concedono prestiti. Buona parte degli utili viene prodotta grazie alla differenza tra tassi passivi (pagati sui depositi) e tassi attivi (raccolti sui prestiti), mentre le grandi banche europee guadagnano soprattutto con le commissioni dalla vendita di titoli, oppure con l’investment banking, offrendo finanziamenti e servizi alle grandi imprese (per quotazioni in borsa, fusioni, acquisizioni, emissioni di obbligazioni, ecc..).
Quale che sia il giudizio sulle norme di Basilea III, le banche italiane dovranno adeguarsi, come tutti gli altri, entro il 2019, quando le banche europee dovranno avere un rapporto tra capitale (Core Tier 1) e attività ponderate per il rischio almeno pari al 7%. Unicredit era all’8,3% alla fine di giugno, ma la percentuale potrebbe presto scendere sotto l’8% a causa delle nuove definizioni di capitale (più restrittive) che entreranno in vigore. Intesa Sanpaolo è al 7,9%, ma potrebbe scendere sotto il 7%, per gli stessi motivi. Ma il vero malato, tra i grandi istituti italiani, sarebbe Montepaschi, attualmente al 5,8%.
Intanto, mentre le banche italiane cercano di limitare i danni di Basilea III, nei consigli di amministrazione delle fondazioni bancarie italiane è partito il valzer delle poltrone. Venerdì scorso è stata la volta di Fondazione Cariverona, che ha il 4,63% del capitale di Unicredit. Paolo Biasi è stato confermato alla presidenza per acclamazione, ma le vicende giudiziarie in cui è coinvolto (http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/09/grosso-guaio-biasi-sotto-inchiesta-per-bancarotta/58846/) potrebbero presto allontanarlo – temporaneamente – dal vertice della fondazione. A sostituirlo ci penserebbe il neo-eletto vice-presidente vicario Giuseppe Sala, un avvocato vicino a Biasi. Sala ha superato nelle preferenze Giovanni Maccagnani, il candidato alla vice-presidenza proposto dal sindaco leghista di Verona Flavio Tosi. Già assessore leghista ai lavori pubblici e all’edilizia privata del Comune di Verona, Maccagnani dovrà “accontentarsi” di guidare il Comitato Finanza, dedicato agli investimenti. Per la Lega, nelle prossime settimane, potrebbe rendersi disponibile una nuova poltrona, che porterebbe i posti in Consiglio da sette a otto. Con buona pace del Financial Times.
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Economia & Lobby
Banche italiane alle corde. Il Financial Times bacchetta le Fondazioni
Dopo aver passato quasi indenni la crisi perché “non sapevano l’inglese”, le banche italiane sarebbero oggi in pericolo. Proprio per gli stessi motivi che, finora, le hanno salvate: perché sono conservatrici, avverse al rischio e guidate da Fondazioni bancarie provinciali, troppo prudenti e a corto di liquidità. A sostenerlo è il Financial Times, che non usa mezzi termini. “Le banche italiane sono tra le meno capitalizzate in Europa, ora che le nuove regole di Basilea impongono requisiti di capitali molto severi, dovranno riuscire a spiegare ai mercati dove hanno intenzione di raccogliere nuove risorse”.
In poche parole serve capitale, le strade per raccoglierlo sono limitate e, a leggere il quotidiano finanziario inglese, al momento tutte difficili da percorrere.
La strada più immediata sarebbe quella degli aumenti di capitale. Ma “Unicredit, Intesa Sanpaolo e Monte dei Paschi su questo sono categoriche: non ci saranno aumenti di capitale, piuttosto – sostiene Ft – si taglieranno i dividendi. Il capitale sarà accumulato dimezzando la porzione di utili destinata agli azionisti”, continua Ft. Una scelta considerata “politicamente sensibile”, visto che i principali destinatari dei dividendi sono proprio le fondazioni bancarie, “rette da potenti locali, che hanno sempre fatto affidamento ai dividendi per finanziare iniziative sociali”.
La strada dell’accantonamento degli utili, oltre ad essere sensibile “politicamente”, potrebbe essere difficilmente percorribile, almeno nel breve periodo. Perché, prima di accantonarli, gli utili bisogna produrli e le banche italiane sono oggi molto meno redditizie rispetto alle concorrenti europee. “Negli ultimi dodici mesi le banche italiane in borsa hanno reso mediamente il 13,2% in meno rispetto alla media delle banche europee. Durante la crisi hanno fatto meglio, ma ora la tendenza si è invertita”, scrive il Financial Times, citando la performance dell’indice FTSE top bank. Il motivo del basso rendimento starebbe nel DNA stesso dell’attività bancaria italiana, che sarebbe “troppo concentrata sulla clientela retail” e quindi troppo dipendente dai tassi di interesse, oggi a livelli minimi. In pratica le banche italiane si ostinano a “fare le banche” nel senso più classico del termine: raccolgono risparmi dalla clientela e concedono prestiti. Buona parte degli utili viene prodotta grazie alla differenza tra tassi passivi (pagati sui depositi) e tassi attivi (raccolti sui prestiti), mentre le grandi banche europee guadagnano soprattutto con le commissioni dalla vendita di titoli, oppure con l’investment banking, offrendo finanziamenti e servizi alle grandi imprese (per quotazioni in borsa, fusioni, acquisizioni, emissioni di obbligazioni, ecc..).
Quale che sia il giudizio sulle norme di Basilea III, le banche italiane dovranno adeguarsi, come tutti gli altri, entro il 2019, quando le banche europee dovranno avere un rapporto tra capitale (Core Tier 1) e attività ponderate per il rischio almeno pari al 7%. Unicredit era all’8,3% alla fine di giugno, ma la percentuale potrebbe presto scendere sotto l’8% a causa delle nuove definizioni di capitale (più restrittive) che entreranno in vigore. Intesa Sanpaolo è al 7,9%, ma potrebbe scendere sotto il 7%, per gli stessi motivi. Ma il vero malato, tra i grandi istituti italiani, sarebbe Montepaschi, attualmente al 5,8%.
Intanto, mentre le banche italiane cercano di limitare i danni di Basilea III, nei consigli di amministrazione delle fondazioni bancarie italiane è partito il valzer delle poltrone. Venerdì scorso è stata la volta di Fondazione Cariverona, che ha il 4,63% del capitale di Unicredit. Paolo Biasi è stato confermato alla presidenza per acclamazione, ma le vicende giudiziarie in cui è coinvolto (http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/09/grosso-guaio-biasi-sotto-inchiesta-per-bancarotta/58846/) potrebbero presto allontanarlo – temporaneamente – dal vertice della fondazione. A sostituirlo ci penserebbe il neo-eletto vice-presidente vicario Giuseppe Sala, un avvocato vicino a Biasi. Sala ha superato nelle preferenze Giovanni Maccagnani, il candidato alla vice-presidenza proposto dal sindaco leghista di Verona Flavio Tosi. Già assessore leghista ai lavori pubblici e all’edilizia privata del Comune di Verona, Maccagnani dovrà “accontentarsi” di guidare il Comitato Finanza, dedicato agli investimenti. Per la Lega, nelle prossime settimane, potrebbe rendersi disponibile una nuova poltrona, che porterebbe i posti in Consiglio da sette a otto. Con buona pace del Financial Times.
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Roma, 9 gen (Adnkronos) - "Non guardo una serie televisiva e purtroppo non riesco a leggere un libro che non sia il Pnrr da circa due anni. Un giorno tornerò a fare quelle cose che fanno gli umani, che attualmente a me non sono tragicamente consentite e che mi mancano". Galeotto fu Luca Marinelli, 'colpevole' di aver generato lo sfogo (sincero) di Giorgia Meloni quando, alla conferenza di inizio anno, le è stato chiesto se avesse in programma di vedere 'M', la serie su Mussolini tratta dal libro di Antonio Scurati con il Duce interpretato, appunto, da Marinelli.
Non è la prima volta che la presidente del Consiglio ammette, in pubblico, quanto il potere abbia la forza di logorare chi ce l'ha. "E' un lavoro faticoso", ha ammesso anche oggi. A volte Meloni è riuscita anche a riderci su. Nel '23, a Vilnius per un vertice Nato evidentemente molto impegnativo, in conferenza stampa, sofferente, chiese: "Quanto manca?". Per poi chiarire: "Non è che mi sono stufata di voi, ma le scarpe...Mi fanno malissimo i piedi!".
Per non parlare quando, dal Cairo, in un video messaggio alla festa di FdI, per spiegare la sua assenza, disse: "Anche io sono un essere umano". Ma Meloni non è certo la prima a tentare di far comprendere che 'sporco' lavoro sia quello di leader. Ci sono illustri precedenti, già nella prima Repubblica. Giulio Andreotti, in una delle lettere raccolte in 'Cara Liviuccia', libro pubblicato postumo dai figli, si appoggiava alla moglie: "Ieri sera il mio proposito di non far tardi è completamente naufragato dinanzi a un programma intensissimo", scrive a Livia Danesi.
(Adnkronos) - E giù con un programma di appuntamenti che avrebbe sfiancato chiunque ma, come ammetteva lo stesso presidente del Consiglio, "politicamente utile". Qualche esempio? "Prima tappa l’OASI, il centro di rieducazione dei grandi invalidi di guerra paraplegici. Un’ora di mestizia, rotta solo dal conforto di vederli riconquistati alla vita". E ancora: "Via per Minturno, con sosta a Sperlonga a bere con il prefetto una Coca-Cola. Alle 24 tutta la tribù (395 persone) si è trasferita a Formia per l’inaugurazione del circolo nautico" e "alle 2 ci sono stati i fuochi e subito dopo un chitarrista che pare molto noto è comparso su una barca per cantare (...). Come Iddio ha voluto alle 2.30 sono potuto partire".
Dura, insomma, la vita nel Palazzo. Chiedere a Mario Draghi che, nel 2022, da ex premier in una intervista ammetteva: ora "sperimento un po' di tempo libero. Faccio il nonno, ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare". Romano Prodi, da parte sua, nei giorni di palazzo Chigi non ha mai nascosto i mal di pancia per dover saltare le sedute di running o, peggio, le uscite in sella all'amata bicicletta.
Ma anche i leader più giovani hanno incontrato qualche difficoltà. A 'Verissimo', Matteo Renzi confessava: "C’è stato un momento, quando ero presidente, che sembrava che la mia vita avesse subito una specie di blackout. Pensavo solo al lavoro e vedevo poco la mia famiglia. Nessuno può ridarmi indietro il tempo 'perso', ma penso di essere un buon padre. Anche se uno di loro finge di non conoscermi, nel senso che, non gli piace essere riconosciuto come, appunto, 'il figlio di'".
(Adnkronos) - Nel 2021, nel bel mezzo di uno scontro con Beppe Grillo, Giuseppe Conte venne 'pizzicato' in bianco, in tenuta da tennis (la sua grande passione), con tanto di sacche porta racchette in mano. "Questa partita l'ha vinta?", chiede un cronista. "Ma era solo un allenamento...", la risposta. Ma, tanto per cambiare, il politico che ha regalato più letteratura anche sulle fatiche della leadership è Silvio Berlusconi. Nel 2008, il Cavaliere al 'Corriere della sera' confessava: "Pensare che ho barche sulle quali non ho quasi mai messo piede, case che ho visto una volta sola, una famiglia che si gode la vita. Sono l'unico costretto a non avere tempo libero".
Agli amici Berlusconi confessava: "Ma vi rendete conto che devo tornare a Roma, a Palazzo Grazioli, dove non c'è mai luce!". Un pensiero ricorrente, tanto che nel 2015 in una dichiarazione l'ex premier ancora favoleggiava: "Ho quella villa meravigliosa ad Antigua, dove sono stato solo una volta...". Un desiderio sussurrato ma rimasto sempre sulla carta, perché il leader di FI è rimasto protagonista per molti anni ancora.
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto contenente il programma di esame della patente D1, il cosiddetto “patentino” diurno entro 6 miglia dalla costa, per potenze fino a 115 cavalli, rilasciabile anche ai sedicenni, fortemente voluto e ottenuto da Confindustria Nautica. Il corso, erogato dalle scuole nautiche, deve avere una durata complessiva di non meno di 5 ore, ed essere organizzato in lezioni frontali con frequenza obbligatoria in presenza, di durata non superiore a due ore giornaliere. Lo rende noto Confindustria Nautica.
Le esercitazioni pratiche individuali di navigazione e manovre a motore hanno una durata di almeno cinque ore non consecutive e sono svolte su unità da diporto di lunghezza minima di 5,90 metri con motore di potenza superiore a 40 cavalli (iscritte nell'Atcn o in un pubblico registro comunitario). Eventuali assenze del candidato alle lezioni teoriche frontali o alle esercitazioni pratiche individuali di navigazione e manovre a motore sono recuperate secondo le medesime modalità didattiche previste dal corso.
A conclusione del corso il candidato sostiene una prova di idoneità finale presso la scuola, costituita da 15 quiz selezionati nell'ambito delle materie indicate nel programma di esame, che è superata se fornisce almeno 12 risposte esatte nel tempo massimo di trenta minuti. Le scuole nautiche comunicano a capitaneria di porto, provincia e motorizzazione competenti per territorio luogo, giorno e ora di svolgimento del corso formativo e dell'esame di idoneità finale e i nominativi dei partecipanti, nonché il collegamento di accesso in video conferenza per le finalità di vigilanza e di verifica da remoto.
Confindustria Nautica ha condiviso, in coordinamento con Unasca e Confarca e con la Direzione competente del Mit i quiz di esame.
Programma di esame per il conseguimento delle patenti nautiche di categoria D, tipo D1: 1. Teoria dello scafo; 1.1 Nomenclatura delle parti principali dello scafo; 1.2. Effetti evolutivi dell'elica e del timone. Elementi di stabilità dell'unità; 2. Motori. Elementi di funzionamento dei sistemi di propulsione a motore. Irregolarità e piccole avarie che possono prevedere un intervento non specialistico. Calcolo dell'autonomia in relazione alla potenza del motore ed alla quantità residua di carburante; 3. Sicurezza della navigazione, 3.1 Uso degli estintori. Rischi derivanti dalla conduzione dell'unità sotto l'influenza dell'alcol o in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, 3.2 Norme di sicurezza per la navigazione diurna entro sei miglia di distanza dalla costa, con particolare riferimento alle dotazioni di sicurezza e ai mezzi di salvataggio in relazione alla navigazione effettivamente svolta e alla navigazione in solitario. Prevenzione degli incendi. Tipi di visite e loro periodicità. Provvedimenti da adottare in caso di sinistro marittimo (incendio, collisione, falla, incaglio, uomo in mare). Provvedimenti da adottare per la salvezza delle persone a bordo in caso di sinistro e di abbandono dell'unità. Precauzioni da adottare in caso di navigazione con tempo cattivo. Assistenza e soccorso: segnali di salvataggio.
4. Manovre e condotta; 4.1 Precauzioni all'ingresso e all'uscita dei porti, per la navigazione in prossimità della costa o di specchi acquei dove si svolgono altre attività nautiche(nuoto, sci nautico, pesca subacquea, ecc.). Velocità consentite; 4.2 Ormeggio, disormeggio, ancoraggio; 4.3 Manovre; 5. COLREG. Nei limiti delle competenze necessarie alla navigazione diurna entro sei miglia di distanza dalla costa: norme per evitare collisioni e abbordi in mare, fanali luminosi e segnali diurni. Segnalamenti marittimi e norme di circolazione nelle acque interne.
6. Meteorologia; Nozioni di meteorologia, nei limiti delle competenze necessarie alla navigazione diurna entro sei miglia di distanza dalla costa; 7. Navigazione. Nozioni di navigazione stimata: tempo, spazio e velocità. Prora e rotta. Effetto del vento e della corrente sul moto dell'unità: concetto di deriva e scarroccio. Pubblicazioni nautiche: Portolano; 8. Normativa diportistica e ambientale: a) poteri, doveri e responsabilità del comandante; b) documenti da tenere a bordo delle unità da diporto; c) elementi sulla disciplina delle attività balneari, dello sci nautico, della pesca sportiva e subacquea, d) elementi normativi sulla protezione dell'ambiente marino e sulle aree marine protette.
8.1 Leggi e regolamenti che disciplinano la navigazione da diporto, nei limiti della navigazione diurna entro sei miglia di distanza dalla costa: a) codice della nautica da diporto, regolamento di attuazione del codice della nautica da diporto; b) ordinanze delle Autorità marittime o della navigazione interna locali.
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Sono arrivato a 50 anni, canto, ballo e sono felice. Però la fase zen è finita dopo le assoluzioni: adesso rilancio sulla politica". Lo dice Matteo Renzi a il Venerdì in una intervista alla vigilia dei suoi 50 anni che festeggerà l'11 gennaio anche con un'iniziativa pubblica a Firenze per lanciare "un anno scoppiettante contro una destra illiberale" di Giorgia Meloni, definita "incapace e pericolosa" dal leader di Iv.
Se dovesse essere ricordato per una cosa, una soltanto di quelle fatte nei mille giorni a palazzo Chigi, quale sceglierebbe? "Non una cosa ma un sentimento. Si era aperta una stagione di speranza, c’era l’idea che ce la potessimo fare come Paese". E al fondo, secondo lei, perché è finita? "Al fondo? Per i nostri errori, è ovvio. Ma soprattutto per fuoco amico. In quella stagione una parte del gruppo dirigente ex Pci-Pds ha voluto perdere il Paese pur di riprendersi la Ditta". Per Renzi "l’inizio della fine sono le trivelle e l’indagine su Tempa Rossa nel 2016".
Non ha fatto errori? E solo colpa degli altri? "È evidente che ho commesso errori. Ma se penso ai miei 50 anni, a come ci arrivo, mi vengono in mente due parole che una volta mi disse un caro amico che non c’è più: letizia e gratitudine. Sono felice e ho imparato tanto, anche nei momenti in cui ero solo come un cane, soprattutto quando mi hanno diffamato". Un sogno? "È fare di Italia Viva, un partito ucciso in culla dalle indagini Open, un’altra cosa. Trasformarlo sempre di più in 'Italia Vivaio', un polo che attragga i giovani e li porti ad appassionarsi alla politica".
Il mitico centro. Si farà mai? "Il centro è il luogo grazie al quale si vince o si perde la partita. C’è un’opportunità evidente. Meloni con la sua coalizione non è maggioranza nel Paese, è diventata presidente del Consiglio grazie a Enrico Letta che ha voluto dividere la coalizione, e lo resta oggi perché i 5 stelle rifiutano l’alleanza organica".
Schlein? "La cosa che più apprezzo di lei è che rifiuta la logica del meglio pochi ma buoni. Quel settarismo della sinistra che è il miglior alleato dell’estremismo della destra. Schlein, che viene da una storia molto diversa dalla mia, ha capito che con quel settarismo lì si perde e lei, invece, vuole vincere".
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Noi riteniamo che questa riforma non ci appartenga e abbiamo tutti i motivi per dire che siamo contrari, però ci chiediamo perché tenere fuori un principio costituzionale, quello della garanzia della parità di genere, quello che non ci sia discriminazione tra sessi? Perché dire che un principio, come quello della parità di genere, può anche essere fatto con una legge ordinaria?". Così la deputata democratica e responsabile nazionale Giustizia del Pd, Debora Serracchiani, intervenendo in Aula.
"L'idea che si sta dando è che non sia un valore così importante e che ne possiamo fare a meno. L'idea insomma che la Carta costituzionale sia cartastraccia. Per noi non è così, e dato che questo è un governo che viene presieduto da una donna, chiediamo alla maggioranza che di questo principio non si faccia cartastraccia, e che di questo principio si mantenga il rango costituzionale, perché troviamo inaccettabile e intollerabile che proprio su questo ci si dica: si può fare con legge ordinaria".
"A tenerla sempre sotto il tappeto, quella parità di genere, prima o poi, non sarà un problema forse per noi che, grazie a quelle donne che si sono sacrificate, oggi siamo qui e possiamo dire quello che pensiamo, ma pensate alle vostre figlie e alle vostre nipoti, perché questi diritti non sono mai scontati e questi diritti, anche oggi, vengono messi costantemente in discussione".
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Le nomina del prefetto Vittorio Rizzi come nuovo direttore del Dis e del capo di Stato Maggiore Leandro Cuzzocrea a vice direttore Aisi rappresentano un riconoscimento alla competenza, e all’impegno al servizio del Paese”. Così la deputata di Italia Viva Maria Elena Boschi.
“Conosco e apprezzo la professionalità di Rizzi sin dai tempi in cui, durante il nostro governo, ricopriva il ruolo di capo dell’Ispettorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel ringraziare Belloni per la dedizione e il lavoro di questi anni, a Rizzi e Cuzzocrea auguro buon lavoro, sapendo che il loro spirito di servizio rappresenta una garanzia per il delicato incarico che andranno a ricoprire”, conclude.
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Il Governo spieghi immediatamente come sia potuta accadere una cosa così grave. La modifica unilaterale dei requisiti pensionistici operata dall'Inps é fuori dal mondo: è stata chiesta dal Governo ? E perché tutto è stato fatto senza trasparenza? Qui siamo di fronte al paese reale non a quello raccontato dalle fiabe di Giorgia Meloni, sono in gioco diritti e vite di milioni di persone“. Lo afferma il capogruppo di Avs nella commissione Lavoro della Camera Franco Mari in merito a quanto denunciato dalla Cgil sui nuovi criteri pensionistici.
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - “Il ministro Calderoli oggi nell’Aula del Senato ha dato l’impressione di non aver letto con la dovuta attenzione la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di parti significative della legge che porta la sua prima firma sull’Autonomia". Lo dice il senatore Andrea Giorgis, capogruppo del Pd nella Commissione Affari costituzionale, che è intervenuto nell’Aula del Senato nel corso del Question time.
"Ha ripetuto di voler dare piena attuazione alla decisione della Corte, presentando un disegno di legge delega sui Lep, di voler proseguire le interlocuzioni con le regioni che avanzarono richieste di ulteriore autonomia e si è impegnato solo a non portare intese in Cdm fino al referendum. Ma come può il governo dare piena attuazione alla sentenza e al tempo stesso riprendere e proseguire il cammino dei negoziati? Se il governo intende rispettare la decisione della Corte deve innanzitutto riscrivere la legge, determinare e finanziare i Lep, tutti i Lep, predisporre una procedura per l’adeguata valutazione ed attuazione del principio di sussidiarietà in relazione alle specifiche funzioni (comprese quelle che potrebbe essere considerate non Lep) e soltanto dopo, ripeto soltanto dopo, avviare delle interlocuzioni con le regioni che avanzeranno richieste di autonomia differenziata. Al ministro Calderoli ripetiamo di fermarsi: dividere il Paese danneggia tutti”.