L’Imaie è – o meglio era – l’Istituto mutualistico artisti, interpreti ed esecutori, ovvero, l’ente preposto alla tutela degli artisti ed alla raccolta e redistribuzione, nell’interesse degli artisti medesimi, del c.d. equo compenso, dovuto in ogni ipotesi di utilizzazione o riproduzione di opere musicali o cinematografiche, in base a quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore.
Lo scorso anno, dopo oltre 30 anni di funzionamento – o quasi funzionamento – il Prefetto di Roma ne aveva ordinato lo scioglimento in quanto, all’esito di una complessa attività di indagine, era, tra l’altro, emerso che l’Ente non era in grado di perseguire efficacemente il proprio scopo statutario.
Negli ultimi anni, infatti, l’Imaie aveva raccolto decine e decine di milioni di euro [n.d.r 118 al 31 dicembre 2007] ma non era poi stato in grado di distribuirli tra gli aventi diritto in parte in ragione dell’incertezza del quadro normativo di riferimento e, in parte, perché l’Istituto, negli oltre trent’anni di attività, aveva identificato solo una assai modesta percentuale di artisti, rispetto a quelli che avrebbero dovuto beneficiare del riparto dei compensi incassati [n.d.r, poco più di 1600 artisti identificati a fronte di oltre 56 mila da identificare].
Si tratta di circostanze che trovavano puntuale conferma nell’ultimo bilancio dell’ente – quello relativo all’esercizio 2007 – e nella relazione di accompagnamento del suo Presidente che, anzi, offrivano un quadro della gestione economico-patrimoniale dell’Imaie ancor più dubbio e preoccupante.
Il bilancio, racconta di oltre 9 milioni di euro di immobilizzazioni equamente ripartite tra immobiliari e mobiliari, oltre 75 milioni investiti in azioni, depositi bancari per oltre 15 milioni e di quasi 30 milioni di euro di costi di produzione. Secondo l’ultima relazione del Presidente sull’attività svolta, nel solo 2007 l’Imaie avrebbe raccolto – benché spendendone, non è dato capire come, 30 – 27 milioni di euro di equo compenso cui andavano ad aggiungersi i quasi 18 milioni raccolti tra il primo gennaio ed il 31 agosto 2008.
Una montagna di soldi incassati e, ovviamente, nella più parte dei casi, non distribuiti tanto che dalla stessa relazione emerge che tra il 1° gennaio 2007 ed il 31 agosto 2008, l’Imaie aveva incassato 3 milioni e mezzo di euro di interessi bancari.
Una cifra da capogiro se si pensa che l’Imaie avrebbe semplicemente dovuto redistribuire le somme incassate agli artisti, interpreti ed esecutori.
All’epoca sembrò una delle tante brutte storie italiane, finalmente giunta al capolinea. A seguito del provvedimento del Prefetto, infatti, l’istituto veniva, posto in liquidazione. A questo punto, tuttavia, la storia inizia a farsi interessante, anzi, più interessante.
Il 18 gennaio 2010, infatti, i commissari liquidatori, prendono carta e penna ed annunciano che, avendo verificato “sulla base dell’analisi dei dati della contabilità e di quanto risulta agli atti dell’Imaie… che il patrimonio non è sufficiente al pagamento integrale delle passività ivi comprese quelle allo stato potenziali e degli oneri della liquidazione”, intendono procedere alla liquidazione definitiva e generale dell’Ente.
Strano, stranissimo che il “tesoretto” dell’Imaie, oltre 100 milioni di euro nel 2007, nel gennaio del 2010 non esista più o, comunque, non sia sufficiente a coprire le passività – quali? – dell’Ente ma non c’è, naturalmente, ragione per dubitare dell’operato dei Commissari liquidatori che, in buona sostanza, ritenuto, carte alla mano, che i debiti dell’Ente fossero superiori alle sue attività, hanno preso l’unica decisione possibile: disporre l’estinzione dell’Imaie.
Se, tuttavia, l’incapacità dell’Imaie di far fronte ai propri debiti è circostanza curiosa ma credibile, più difficile è comprendere come sia potuto accadere che proprio mentre l’Imaie veniva posto in liquidazione e, dunque, si chiedeva ai suoi creditori di rinunciare a quanto loro spettante, il Governo, con un decreto legge, dava vita al “Nuovo Imaie”, al quale trasferiva, integralmente “l’azienda” del vecchio, ovvero tutti i contratti di lavoro nonché gli scopi e le funzioni di carattere pubblicistico: primo tra tutti raccogliere e redistribuire le decine e decine di milioni di euro di equo compenso che ogni anno vengono versati.
E’ un’operazione che ricorda quella dell’Alitalia. Si svuota un ente ormai in situazione fallimentare e si trasferisce quello che c’è di buono in un nuovo ente gemello che si ritrova, così, alleggerito del fardello del vecchio, mentre i creditori di quest’ultimo vengono lasciati a bocca asciutta. Il tutto, naturalmente, sotto la vigilanza e, anzi, con la partecipazione attiva del Governo.
Curioso, anche, che a presiedere il nuovo Imaie sia chiamato il legale storico del vecchio, ovvero, l’Avv. Andrea Micciché, uomo di indubbia competenza ed esperienza, ma che ha per anni assistito il management uscente mentre “affossava” l’istituto mutualistico degli artisti, interpreti ed esecutori.
Corsi e ricorsi storici, dirà qualcuno, mentre, gli artisti che hanno fortemente voluto la resurrezione dell’Imaie, sottolineeranno, ancora una volta, come, in fondo, non si tratti di denaro pubblico ma di soldi loro con la conseguenza che le vicende dell’Ente non dovrebbero interessare all’opinione pubblica.
Non è, tuttavia, esattamente così. I soldi che finiscono, ogni anno, nelle casse dell’Imaie – ora Nuovo Imaie – sono soldi nostri che, in conformità a quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore, versiamo allo scopo di remunerare tutti gli oltre 60 mila artisti che svolgono ruoli più o meno significativi e non solo i 1600 che in 30 anni hanno percepito qualcosa dal vecchio Imaie.
Se, pertanto, l’Imaie – come purtroppo accaduto – non funziona, accumula e brucia inutilmente ricchezza o ne fa accumulare ai soliti amici degli amici, si tratta di un problema che riguarda la gestione della cosa pubblica e, quindi, non si può pretendere di gestirlo come fosse un affare tra privati, di nessun rilievo per l’opinione pubblica ed i cittadini.
Non so se la resurrezione dell’Imaie fosse necessaria, ma questo genere di resurrezione, lascia almeno perplessi.
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