C’è voluta Luciana Littizzetto con l’efficacia della battuta comica, per ascoltare una domanda vera diretta a Sergio Marchionne, ieri sera a “Che tempo che fa” (guarda il video). L’umorista torinese ha infatti chiesto esplicitamente che fine fa Termini Imerese e se davvero la chiusura dello stabilimento siciliano è l’assaggio di una Fiat che ormai se ne va all’estero e si “libera” del “peso Italia”. Peccato che Marchionne non fosse più presente e che quindi fosse libero, lui sì, di eludere la domanda. Molto soddisfatto, si suppone, delle domande che fino a qualche minuto prima gli aveva porto con garbo, in oltre venti minuti di intervista (un’enormità in televisione) il buon Fabio Fazio.
Eppure le domande giuste è lo stesso Marchionne a tirarsele dietro, grazie al suo stile diretto, franco, un po’ arrogante ma esplicito. Ecco cosa si poteva chiedere e Fazio si è ben guardato dal fare.
L’Italia, dice Marchionne, è al 118° posto della classifica sulla “Efficienza lavoratoriva” e al 48° nella graduatoria sulla competitività, redatta dal World Economic Forum. Ma quanto è attendibile questa classifica? E, soprattutto, di chi è la colpa? L’Italia è la seconda industria manifatturiera del mondo per prodotto pro-capite e la quinta al mondo per produzione complessiva. Davvero è così scarsa in efficienza lavorativa? La Ferrari e la Maserati del gruppo Fiat dove si collocano, non sono forse in Italia? E come fa a essere produttivo un gruppo che tiene uno stabilimento con oltre 5000 operai, Pomigliano, in cassa integrazione da quasi due anni, che ha già chiuso Termini Imerese e che utilizza la Cassa integrazione a singhiozzo anche per Mirafiori e Melfi? Non è un problema dell’azienda? Ancora, i bilanci recentemente presentati da Fiat parlano di utili prodotti in particolare dalla macchine agricole (Cnh) e dai camion (Iveco). Non sono anche in Italia gli stabilimenti di queste due aziende?
Fazio ha voluto incentrare lo scontro su Pomigliano attorno alla questione delle pause che nell’accordo siglato a giugno vengono ridotte da 40 a 30 minuti. Lo stesso accadrà a Melfi dalla fine del 2011. Ma, come ha spiegato lo stesso Marchionne, «non è questo il punto». In realtà, gli operai non sono contenti di questa soluzione ma è altrettanto chiaro che la stessa Fiom non intende alzare barricate su pause, 18 turni e straordinari. Il punto è infatti un altro, solo che nell’intervista non è stato nemmeno toccato. Si è parlato di «diritti» difesi dal sindacato e «assolutamente non toccati» dall’azienda, come ha sottolineato l’ad Fiat. Ma si poteva tenere una copia dell‘accordo di Pomigliano sotto gli occhi e leggere il punto 15 denominato “Clausole integrative del contratto nazionale di lavoro”: «Le Parti convengono che le clausole del presente accordo integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell’efficacia nei suoi confronti delle altre clausole«. Alla clausola 14 inoltre si prevede «che il mancato rispetto degli impegni ivi assunti dalle organizzazioni sindacali e dalle Rsu (…) anche a livello di singoli componenti (…) libera l’azienda dagli obblighi derivanti dal presente accordo nonché da quelli derivanti dal Ccnl Metalmeccanici in materia di: contributi sindacali, permessi sindacali retribuiti, organi direttivi nazionali e provinciali». Insomma i diritti violati dall’accordo sono i diritti stabiliti dal contratto nazionale di lavoro, compreso il diritto ad ammalarsi violato al dispositivo n. 8. Ma di tutto questo Fazio non ha chiesto nulla.
Marchionne ha fatto una promessa in diretta tv: se mi date mano libera, cioè «se rendete le fabbriche governabili porto i salari italiani allo stesso livello di quelli europei», di Francia e Germania, in particolare di quest’ultima presa come riferimento obbligato. Bene. In Germania i salari sono circa il doppio di quelli italiani – alla Volskswagen si oscilla tra i 2500 euro al mese e i 3000 e si lavora 32 ore la settimana; in Italia si oscilla, per 40 ore contrattuali tra i 1200 e i 1500 – come è possibile realizzare un simile obiettivo quando l’Accordo sul modello contrattuale siglato da Confindustria, Cisl e Uil, nel gennaio del 2009, riduce la possibilità di aumenti salariali al passo con l’inflazione? Solo con il secondo livello e gli aumenti di produttività? Ma se la Fiat quest’anno, unilateralmente, ha cancellato il premio di produttività. In quanti anni, decenni forse, è realizzabile quell’obiettivo?
Marchionne ha parlato di Melfi e dei tre operai licenziati perché, secondo l’azienda, bloccavano un carrello di trasporto dei pezzi di ricambio. «E’ anarchia non si può governare una fabbrica di migliaia di persone con gente così». Eppure quei tre operai sono ricorsi al giudice, che ha sentenziato l’illeggittimità del loro licenziamento e il loro reintegro in fabbrica (che la Fiat contesta con il ricorso in appello). Al fianco di quei tre operai la scorsa estate si è pronunciato addirittura il Capo dello Stato che, evidentemente, non ha giudicato «anarchico» il loro comportamento. Eppure Fazio non se n’è ricordato.
Marchionne ha annunciato che l’Italia per i bilanci è un peso (e abbiamo visto però il contributo che dall’Italia ricevono i conti della Fiat) e ha affermato con nettezza, senza alcuna obiezione, che comunque «il conto con lo Stato la Fiat l’ha ripagato e che non intende chiedere altri aiuti». Due bugie senza alcuna contestazione. Quando sarebbe stato ripagato il conto? In che modo? Qualcuno può esibire un versamento, un’elargizione allo Stato, qualcos’altro? Marchionne può forse vantare la creazione di migliaia di posti di lavoro? Nel 2000 gli addetti del gruppo erano circa 74 mila oggi superano di poco i 50 mila. Nel comparto Auto si è passati da 30 mila a 22 mila considerando ancora i dipendenti di Termini Imerese. Questo è il conto saldato? Quanto agli aiuti, non è un mistero che Fiat stia premendo per ottenere nuovi incentivi per l’auto a metano ovviamente con il pretesto dell’auto ecologica. La Fiat negli ultimi due anni può vantare aiuti pubblici per circa 14 miliardi: 8 miliardi ricevuti da Obama per salvare la Chrysler, 2 dalla Russia, 2 dal Messico, 1 miliardo circa per lo stabilimento in Serbia, 1 miliardo per lo stabilimento polacco di Tychy e quello in Turchia. Più gli incentivi di cui ha beneficiato in Italia e soprattutto la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga utilizzata a piene mani per far fronte alla crisi. Il debito con l’Italia è ancora del tutto aperto e con l’ipotesi di andare via, in realtà, la Fiat punta a non pagarlo mai.
Alla domanda se si prepara a scendere in politica, Marchionne ha risposto con non chalance che non ci pensa nemmeno, lui continuerà a fare «il metalmeccanico». Senza polemizzare, si sarebbe potuto chiedere serenamente quanto guadagna «il metalmeccanico Marchionne». I dati sono stati resi pubblici dalla Fiat: nel 2009 il compenso ricevuto dall’amministratore delegato è stato di 4,78 milioni di euro, di cui 1,35 milioni a titolo di bonus. Il presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo ha percepito, anche in forza della carica rivestita nella Ferrari, 5,17 milioni di euro. Un metalmeccanico vero guadagna circa 30 mila euro lordi e per guadagnare quello che Marchionne guadagna in un anno dovrebbe lavorare 160 anni. Si poteva concludere così l’intervista, senza retorica.