Sono 574 i procedimenti di reato contro l’ambiente, depositati nei tribunali di Sicilia: 174 ad Agrigento, 108 a Marsala, 94 a Sciacca, 86 a Palermo, 68 a Trapani, 44 a Termini Imerese. Una classifica che parla, in realtà, di affari (mafiosi e politici), appalti e monnezza. Il tutto contenuto nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Documento reso noto il 6 ottobre 2010.

Dalle oltre 400 pagine dell’inchiesta emerge un quadro spaventoso. A guidare la classifica è Palermo, dal 16 gennaio 2009 dichiarata in stato di emergenza. L’Amia spa è stata individuata come l’ente responsabile del disastro. La ex municipalizzata che tra l’agosto 2005 e il settembre 2007 non aveva i soldi per pagare i propri dipendenti, e che mandava il proprio management negli alberghi più esclusivi di Dubai e Abu Dhabi, negli Emirati Arabi. Ventidue “missioni” per fare accordi commerciali e per partecipare a bandi per la raccolta differenziata negli Emirati, secondo il presidente di allora Vincenzo Galioto, ora senatore Pdl, e membro della commissione d’inchiesta sull’efficienza del Servizio sanitario nazionale. Tutto questo è avvenuto mentre la mafia, sul disastro, per anni ha costruito montagne di affari.

Eternit e amianto, nella città chiamata un tempo la Conca d’oro, vengono abbandonati in cave fuori legge, in discariche abusive, all’aria aperta o in mare. Ma l’emergenza delle emergenze, ora, si chiama percolato. Il liquido prodotto dal processo di decomposizione del rifiuto, che nel capoluogo siciliano potrebbe “finanche avere inquinato le falde acquifere”. Dalle indagini, dirette dal procuratore della repubblica di Palermo, Francesco Messineo, è chiaro che ad avere il monopolio dei veleni sono le cosche di Cosa nostra, in associazione con la ‘ndrangheta. La Sicilia, infatti, non possiede un impianto autorizzato allo smaltimento, ragione per cui il liquido tossico transita per le autostrade siciliane, prosegue per la Salerno-Reggio Calabria, destinazione Gioia Tauro.

Una bomba ecologica ambulante in partenza da Bellolampo, la collina che domina la città di Palermo. Simile alla celebre altura di Los Angeles, tanto che nel 2001, l’artista padovano Maurizio Cattelan ci mise la scritta Hollywood (foto in alto), visibile da ogni angolo della città. Peccato non ci fosse alcun set cinematografico, ma solo la discarica pubblica della città: un fortino controllato dalle famiglie mafiose. Qui doveva sorgere l’inceneritore di Palermo. Questo secondo il piano rifiuti del 2001, siglato dal governatore siciliano e commissario straordinario per l’emergenza rifiuti, Salvatore Cuffaro. Un progetto bloccato dall’Unione Europea nel 2008, e adesso al centro di una inchiesta per le infiltrazioni mafiose negli appalti.

Il procuratore generale presso la corte d’appello di Palermo, Luigi Croce, durante l’audizione in commissione parlamentare d’inchiesta ha spiegato le strategie utilizzate dalle holding mafiose: “La cosche non sono interessate a vincere le gare d’appalto. Sono interessate, invece, a presentarsi il giorno dopo per gestire il succo dell’appalto”. Così Cosa nostra ha fatto a Palermo con l’ Ati. Una società di rilievo nazionale, aggiudicatrice degli appalti per i rifiuti, che nel capoluogo siciliano ha diviso gli affari con una nota società infiltrata.

Ma è solo un esempio, dalle indagini emerge come, attorno a Ballolampo, ci fosse “una vera e propria struttura mafiosa, organizzata pressoché in forma imprenditoriale”. Uno dei capi è stato per lungo tempo Francesco Buscemi, un vero manager del gotha mafioso, titolare della Medi Eco, arrestato per mafia nel 2003. Buscemi, sino ad allora per tutti era un alto funzionario della Provincia andato in pensione con un curriculum di rispetto, segretario di Vito Ciancimino e componente del comitato di gestione della Usl 58. In realtà, a quanto scrivono i magistrati, era lui a trattare i rifiuti delle strutture ospedaliere di Palermo, come il Civico, Villa Sofia, Cervello, le Asl e di altri ospedali della Sicilia, per conto di Cosa nostra.

Per l’amianto i picciotti avevano individuato luoghi del centro città. I rifiuti tossici, sin dai primi anni ’70, venivano scaricati da alcune famiglia mafiose come i Galatolo. Dove? Su un’area di proprietà della Fincantieri. In un sito dove dovevano sorgere 204 case popolari per gli operai della società di costruzioni navali. Dovevano. Perché, ancora oggi, a distanza di trent’anni, di case non se ne vedono. Nel 2003 il cantiere viene bloccato due volte dalla magistratura: la prima volta perché viene scoperto che la ditta appaltatrice, anziché bonificare l’area dalle montagne di amianto, prende le stesse sostanze nocive e le sotterra nel cantiere. La seconda sospensione avviene, invece, dopo il ritrovamento nell’area di parecchie ossa umane che fanno pensare a un cimitero della mafia. Solo nel 2009, si legge nella relazione, l’area è stata bonificata.

Episodi di ordinaria emergenza rifiuti in terra siciliana. Una situazione pronta a esplodere in qualsiasi momento, se non cambierà la gestione del ciclo dei rifiuti. Il punto da cui partire, individuato dalla commissione d’inchiesta, è la legge regionale n. 9, dell’ 8 aprile 2010, che riguarda la gestione integrata e la bonifica dei siti inquinati. Nella relazione si legge: “Un atto di indirizzo programmatico, ma che non contiene il tanto atteso piano regionale di gestione dei rifiuti, che la Regione è tenuta ad adottare in un momento successivo, una volta sentita la Conferenza permanente regione-autonomie locali, come previsto dalla legge”.  Pochi giorni fa, il nuovo assessore all’energia del quarto governo Lombardo, Pier Carmelo Russo, nel corso della Terza conferenza nazionale sul Mezzogiorno, organizzato dalla Fillea Cgil, ha detto: “Quando qualche impresa si struscia non deve avere accesso al sistema degli appalti pubblici. In queste condizioni, o si è con lo Stato o si è contro lo Stato”.

L’affare mafioso dei termovalorizzatori

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