Novara città delle ordinanze. Dopo il no al velo islamico, il divieto di “stazionare” in parchi e giardini per più di due persone, di vendere e consumare bevande alcoliche in tutte le aree verdi con spazio-giochi 24 ore su 24, arrivano “le disposizioni per contrastare il degrado urbano”. Si tratta dell’ordinanza di “limitazione delle attività commerciali e artigianali di vendita di prodotti ‘etnici’ e disposizioni per i gestori stranieri”, emanata l’11 ottobre dal vicesindaco del comune di Novara Silvana Moscatelli (Pdl) subentrata all’ex-sindaco Massimo Giordano (Lega Nord) dichiarato decaduto dalla sua funzione – ma non dimissionario – per essere stato nominato assessore allo Sviluppo economico della Regione Piemonte.
L’ordinanza fissa alcuni paletti per le attività commerciali degli stranieri. Innanzitutto il divieto di aprire negozi “etnici” simili a meno di 150 metri uno dall’altro; l’obbligo di tradurre le insegne in italiano; l’introduzione di un test di lingua “per accertare la conoscenza di base della lingua italiana e la capacità di lettura di un testo italiano” a meno che l’esercente non abbia già un titolo di studio conseguito nel nostro Paese. Ultimo, ma non meno importante, il divieto di “formare capannelli di persone che consumano alimenti e bevande all’esterno delle attività”.
“Si tratta di un’ordinanza ridicola, liberticida e discriminatoria – dichiara Nicola Fonzo, consigliere comunale di Novara ed esponente di Sinistra, ecologia e libertà – Ridicola perché presa alla lettera obbligherebbe la traduzione di parole straniere ormai di uso comune come ‘restaurant‘, ‘pub‘, ‘brasserie‘, ‘bed and breakfast’ e via dicendo. Liberticida e discriminatoria perché vieta alle persone di formare gruppi fuori dai negozi rivolgendosi però solo agli stranieri. Vi immaginate infatti un vigile che va a multare il gruppetto di ragazzi fuori dal pub durante l’ora dell’aperitivo?”
Per l’assessore alla Sicurezza Mauro Franzinelli, le polemiche dell’opposizione sono “comprensibili, ma strumentali”. L’ordinanza avrebbe per l’assessore uno scopo tutt’altro che discriminatorio: “Non è possibile concentrare le attività commerciali ‘etniche’ tutte nella stessa zona della città, in particolare nel quartiere di Sant’Agabio dove gli stranieri, in massima parte maghrebini, rappresentano più del 30% della popolazione”. Ecco spiegato, secondo Franzinelli, perché distanziare di almeno 150 metri i negozi etnici della stessa tipologia. “Quanto alle insegne, è ovvio che si faccia riferimento a quelle lingue che risultano incomprensibili agli italiani come l’arabo, il cirillico e il cinese e non a quelle facilmente riconoscibili”.
“L’ordinanza è molto generica – continua Fonzo che la settimana scorsa, insieme a tutta l’opposizione, ha chiesto la convocazione di una commissione straordinaria in seduta urgente per discutere del provvedimento – non è chiaro a quali lingue si faccia riferimento né chi saranno le figure incaricate di svolgere verifiche in merito”. Effettivamente nell’ordinanza si parla di “attività di vendita e/o produzione artigianale di prodotti prevalentemente ‘etnici’ alimentari”. Ma cosa si intende per ‘etnici‘? Nel testo si legge “prodotti non facenti parte della tradizione culinaria ed alimentare italiana”. I croissant? Il pollo al curry? Gli hamburger? No, “il kebab, la rosticceria cinese e la macelleria islamica per esempio”. Insomma, l’ordinanza punta il dito contro le attività commerciali arabe e cinesi ma ponendole solo come esempio e non richiamandole esplicitamente.
Il contenuto di questa ordinanza, più che tecnico sembra politico. “Basterebbe un po’ più di buon senso – dice Paolo Cortese, comandante della Polizia municipale di Novara – Queste ordinanze prevedono delle sanzioni che poi di fatto non vengono mai applicate”. Come individuare e multare infatti lo “stazionamento” di due o più persone in un parco di notte? “Le regole ci sono e devono essere rispettate – continua Cortese – Il test di italiano può sembrare discriminatorio ma serve a tutelare tutti, stranieri e italiani”. Su 35 negozi controllati dall’Asl, 21 sono risultati fuori norma e 3 sono stati chiusi per mancanza delle più elementari norme igienico-sanitarie. “Quando andiamo a notificare gli atti in questi negozi, ci imbattiamo spesso in proprietari che non sono in grado di capire il contenuto di ciò che viene loro contestato. Allora è chiaro come la necessità di conoscere l’italiano non sia una discriminazione, ma una questione di integrazione e di tutela della salute pubblica”.