Mi è stato chiesto se io non abbia paura di criticare la riforma Gelmini su questo blog vista l’introduzione del codice disciplinare per dirigenti scolastici da parte del ministro Maria Stella Gelmini nell’ambito del contratto collettivo nazionale di lavoro, codice che taluni affermano estensibile anche agli insegnanti quale io sono.

Altri operatori della scuola, che hanno appreso del codice da un articolo di Salvo Intravaia, mi hanno invece manifestato preoccupazione per le limitazioni alla libertà di espressione e per le sanzioni previste dal suddetto codice in caso di dichiarazioni alla stampa considerate lesive dell’immagine dell’amministrazione nonché per le sanzioni conseguenti all’apertura di procedimenti penali nei confronti dei dirigenti scolastici.

Premettendo che fra le norme vi è una gerarchia, quindi, ad esempio, un regolamento o contratto in contrasto con la legge è invalido, e una legge che leda un diritto costituzionale può essere dichiarata illegittima dalla Consulta, e che inoltre anche fra diritti vi è una gerarchia, analizziamo i vari aspetti della questione.

Per quanto riguarda le dichiarazioni alla stampa, vanno distinte due situazioni attinenti alla forma:

– quando il dipendente abbia rapporti con la stampa nelle sue funzioni di rappresentante dell’Istituzione;

– quando il dipendente scriva ad un giornale da privato cittadino, anche citando la propria generica qualifica di funzionario pubblico (cioè dirigente scolastico o insegnante, senza precisare la scuola) al fine di suffragare l’esperienza in materia o per avvalorare le sue preoccupazioni o infine per trasparenza;

e due situazioni riguardanti il contenuto:

– rivelazioni su retroscena interni al singolo Istituto non riguardanti diritti dell’utenza o sindacali;

critiche di sistema (ad esempio ad un provvedimento del ministero), in generale o in particolare per quanto riguarda i suoi risvolti per i diritti dei cittadini o per quelli dei lavoratori.

Se il dipendente è interpellato nel suo ruolo di dirigente di una data scuola, non appare corretto avvalersi del ruolo per criticare l’amministrazione. Infatti se non fosse stato – poniamo – dirigente della scuola interessata da una situazione che ha richiamato l’attenzione della stampa, non avrebbe avuto quel proscenio da cui esternare. Inoltre in quel momento rappresenta l’Istituzione, per cui è giusto chiedere che comunichi ai superiori i suoi rapporti con la stampa (in quella specifica veste), in modo che questi valutino chi e come deve rispondere a nome dell’Istituzione.

In quel caso avrebbe ragione l’amministrazione riguardo all’addebito, a meno che le esternazioni alla stampa non preventivamente denunciate fossero dovute alla necessità di tutelare il proprio buon nome compromesso da calunnie o accuse pubbliche proprio per il ruolo rivestito (diritto alla reputazione e diritto all’identità personale).

Così pure andrebbe censurato il comportamento del dipendente che violasse, se non il segreto d’ufficio, la normale riservatezza su questioni interne (ad esempio un’inimicizia fra colleghi o contrasti con i superiori) che non riguardino i diritti dell’utenza o dei lavoratori.

Se invece il dipendente scrive alla stampa da privato cittadino (o viene intervistato in veste di – poniamo – autore di libri) ed effettua una critica riguardante il sistema in generale o provvedimenti legislativi, è tutelato dal diritto alla libertà di espressione, che è un diritto di rango costituzionale (Art. 21 Cost.), non comprimibile quindi neé con legge ordinaria né per regolamento, e inoltre è tutelato dall’articolo 3 della Costituzione, secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e quindi non può essere discriminato rispetto ad altri cittadini critici.

Quindi, anche nel caso che taluno cercasse di usare un’applicazione restrittiva del regolamento in parola per mettere la mordacchia ai critici sfruttando il fatto che sono dipendenti della Pubblica Istruzione e avviasse un procedimento disciplinare contro un preside o un insegnante per critiche pubbliche alla riforma Gelmini, l’accusato potrebbe rivendicare i suoi diritti costituzionali in sede di difesa di fronte all’organo disciplinare e – qualora ugualmente destinatario di una sanzione – potrebbe presentare ricorso al Tar ottenendo soddisfazione.

Va poi considerato che alcuni docenti sono anche giornalisti (fatto di cui il dirigente scolastico, in base alla normativa vigente prima dell’introduzione del regolamento, veniva già messo al corrente, così come dei rapporti di lavoro con terzi di tutti gli altri docenti), quindi una interpretazione estensiva della nuova norma, nel caso di un docente-giornalista che scrivesse un articolo critico nei confronti della Gelmini, lederebbe anche la libertà di stampa.

Peraltro l’art.11 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici parla chiaro: “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’amministrazione”. Quindi viene evidenziato il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, proprio come avviene quando si critica  la riforma Gelmini.

Per quanto riguarda invece la sanzione per l’apertura di procedimenti penali a carico di presidi, si può ritenere la norma lesiva dell’art. 3 della Costituzione, visto che per premier e ministri sotto inchiesta non è prevista alcuna sanzione (eppure la risonanza data alle loro questioni giudiziarie è nazionale e quindi il danno d’immagine per le Istituzioni è molto più ingente). Motivazione che si può far valere ricorrendo al Tribunale.

Peraltro, per il principio costituzionale di innocenza fino a prova contraria, non si può sanzionare  chi non sia stato riconosciuto colpevole, e non si può ritenere colpevole una persona solo perché sottoposta a una inchiesta (che potrebbe anche essere archiviata o concludersi con la piena assoluzione) ovvero per l’azione di altri (cioè di chi ha presentato la denuncia, magari infondata).

Né d’altra parte si può permettere che pubblici funzionari preposti a propria volta all’irrogazione di sanzioni (ad es la sospensione di uno studente o provvedimenti disciplinari nei confronti di un dipendente) vengano condizionati dal timore costante di essere denunciati per pura ritorsione.

Per questo debbono usare molta cautela i funzionari incaricati di valutare i comportamenti del dipendente pubblico e comminargli sanzioni in virtù del codice disciplinare, dato che – qualora esorbitassero da un uso ragionevole e proporzionato del regolamento comprimendo diritti costituzionali o configurando comportamenti persecutori o lesivi dell’immagine del dipendente – potrebbero essere chiamati a rispondere in Tribunale di abuso d’ufficio o di altri reati.

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