Di fronte alla prima sollecitazione importante da parte di un significativo soggetto sociale come quello operaio, Grillo reagisce con l’istinto di una politica un po’ vecchia. L’istinto un po’ settario di chi sente minacciato il proprio raggio d’azione e spara a zero contro un fatto politico che probabilmente non mancherà di condizionare lo schieramento del centrosinistra e della sinistra in generale.
Intendiamoci, Grillo dice anche molte cose giuste e per questo non mi sembra si possa definire qualunquista. E’ vero che gli operai sono stati lasciati soli dai rappresentanti dei partiti «superpagati e da sindacalisti dalle mani morbide», è vero che i precari sono tali «grazie alle leggi di Prodi e Berlusconi» che hanno fatto addirittura dei referendum per alzare l’età pensionabile o limitare il welfare. Ed è giusto ribadire alcuni progetti precisi come «il sussidio di disoccupazione, la lotta all’evasione o veri uffici di collocamento». Ma è nella conclusione della sua lettera che Grillo tradisce un po’ di cecità e di stizza. Quando scrive che «sul palco gli unici autorizzati a parlare erano gli operai. Nessuno li rappresenta più» fa finta di non vedere che sul palco hanno parlato quasi solo operai, precari, studenti, esponenti del “popolo viola” e del Forum dell’acqua pubblica. In particolare i tre operai di Melfi, Pomigliano e Termini Imerese hanno fatto forse l’intervento più efficace. E questo è successo per espressa decisione di un’organizzazione, la Fiom, che con quella manifestazione, e con l’iniziativa intrapresa dallo scorso giugno, smentisce l’ultima affermazione di Grillo, perché qualcuno a rappresentare gli operai c’è ancora.
La manifestazione del 16 ottobre è stata una manifestazione indetta dalla Fiom che ha generato un fatto nuovo: ha cioè riproposto una ipotesi di «trasformazione sociale», come insiste a dire Landini, a partire dai temi del lavoro e della precarietà aggiungendo, fatto quasi storico per l’organizzazione dei metalmeccanici, la rivendicazione del Reddito di cittadinanza che sostanzialmente è quel sussidio di disoccupazione di cui parla Grillo. Un’altra soggettività si è quindi riaffacciata sulla scena sociale e politica e, a giudicare dalla sua lettera, Grillo la sente come avversaria mentre invece non sarebbe per nulla male se dinamiche nate e cresciute a distanza si parlassero.
Non sappiamo quale sarà l’effetto direttamente politico del 16 ottobre: la Fiom non fonderà, giustamente, un partito e gran parte della sua forza potrà essere catturata dai partiti della sinistra e anche dal Pd (che si sono già buttati sulla “preda”). Non sarebbe male, invece, che da quella piazza, come da quella di Cesena, dalla manifestazione del “popolo viola”, dall’esperienza del referendum contro l’acqua ai privati, dai movimenti studenteschi, da quelli dei precari e dei ricercatori, dal mondo della scuola, prendesse forma un percorso, un movimento unitario, un sussulto di partecipazione che recuperi la parte migliore del biennio 2001-2003 quando furono diversi soggetti a prendere parola e a manifestarsi e, per un breve momento – penso al Social Forum di Firenze del 2002 – riuscirono anche a incontrarsi.
Incontrarsi oggi è la strada giusta, riuscire ad affermare un’autonomia dal quadro politico esistente e, se ci si riesce, descrivere un’altra ipotesi di lavoro. La piazza del 16 parla anche di questo. Grillo un po’ meno, desideroso forse di recintare un terreno, anche elettorale, ormai cresciuto in quasi tutti i sondaggi. E’ il primo sbaglio importante che compie.
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