di Daniele Martinelli

Google, simbolo della libertà globale, il più potente e utilizzato motore di ricerca, l’indirizzario di tutti gli indirizzi che dalla sua semplice paginata bianca abbatte tutte le barriere dello spazio e del tempo. Una finestra sul mondo a prova di click e di democrazia a disposizione dei diritti della cittadinanza. Un mostro bianco allergico a qualunque forma di Antitrust, confini e regole in quanto soggetto universale mai visto prima, che mette fuori gioco le democrazie sui piani cruciali della regolazione e del fisco. Nemmeno Rupert Murdoch con le sue accuse a Google di lucrare dalle notizie acquisite gratuitamente sui suoi giornali è riuscito finora a contrastarlo. Pure la Cina si è dovuta in qualche modo arrendere per poter stare sul mercato della tracciabilità economica dei suoi prodotti. Un grande fratello che sa tutto di noi senza particolari obblighi nei confronti della privacy.

Un’impresa formidabile che realizza i suoi guadagni che talvolta sfuggono al fisco del dedalo di Paesi in cui opera, tanto che in Italia Google paga assai meno del contribuente classico. Prove di forza in un Far west dove il diritto ritagliato dai confini nazionali non esiste più, visto che Google è anche commercio elettronico. Ocse, Onu, Nazioni unite, Ue cercano di limitare le sue potenzialità assieme a qualche procura. Come quella di Roma, che ad opera del pm Eugenio Albamonte, ha avviato un’inchiesta su Google Street View, il sistema che consente di vedere dal proprio computer il mondo tridimensionale. L’ipotesi di reato è interferenza illecita nella vita privata contro ignoti sulle conclusioni dell’istruttoria eseguita nei mesi scorsi dal Garante della privacy presiduta da quel Francesco Pizzetti collega di Giuseppe Chiaravalloti, che in difesa di non si sa quale privacy non risponde alle domande dei cittadini liberi.

Dunque i magistrati vogliono sapere se Google capti informazioni sensibili e riservate durante il percorso fatto dalle sue auto munite dell’ormai famoso antennone. “La raccolta accidentale di dati wifi da parte delle auto di StreetView – ha detto Google – è stato un errore del quale siamo profondamente spiacenti e per cui ci scusiamo. Ribadiamo la nostra disponibilità a collaborare con le Autorità“. Ergo, secondo l’ipotesi del garante le macchine di street view utilizzerebbero linee wi fi locali a seconda di dove si trovano.

Se così fosse non vedo quale privacy si vada ad intaccare. Tanto meno si capisce quale privacy si vada a violare nel momento in cui le auto di Google fotografano l’ambiente dalla strada, che è luogo pubblico, preoccupandosi già di occultare i connotati delle persone che vi si trovano nei dintorni. Che giornalisticamente si fa solo coi bambini.

Ma secondo Pizzetti Google Street View deve rendere visibili le macchine che vanno in giro e avvisare giornali e radio locali, che a loro volta avvisino i cittadini dell’arrivo della macchina di Google. Insomma, un invito a nascondersi come ha fatto lui con le nostre domande. C’è da sperare che l’indagine della procura di Roma porti a qualcosa di concreto nel paese in cui la mafia si respira nell’aria. Alla faccia della privacy.

Dal blog di Daniele Martinelli

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