Qual è peggio dei due? Mah. Intanto la gente crepa su tutt’e due.
Ci sono poche cose più inutili di questo numero di Ucuntu, in questo buffo paese in cui il principale argomento di politica è il numero e l’età delle ragazzine comprate dal rimbambito monarca. Leggetelo, se proprio volete, come una semplice testimonianza: fra gli italiani, e siciliani, del duemila e rotti non tutti erano del tutto privi di vergogna, non tutti prendevano atto. Leggete questo, ora o fra vent’anni, e non confondeteci con gli altri.
Perché quel che è successo a Catania in questi giorni è, nella sua ordinarietà, assoluatamente nitido come segnale; equivalente a quello dei buoni cittadini di Berlino o Vienna che, sorridendo distrattamente, guardavano gli ebrei afferrati e portati via.
Succede, e anche questo è significativo, a Catania, cioè in una delle due o tre città d’Italia in cui il potere mafioso è totalmente integrato, da tre decenni ormai, in quello dello Stato. Succede anche in citttà, d’accordo, d’inciviltà più recente. Ma parlino gli altri, se vogliono, delle loro vergogne; noi, delle nostre.
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La storia è molto semplice: più di cento profughi, di cui metà bambini, arrivano dopo pene indicibili da noi in Sicilia, sbarcano sulla nostra terra. Un tempo, le donne si sarebbero affrettate a portare coperte e viveri, e gli uomini vino. Adesso, l’affare è di competenza della forza pubblica.
Rastrellano i disgraziati, li chiudono in uno stadio, inventano qualche chiacchiera per tenere a bada i pochi cittadini accorsi, e rimandano le pecore al lupo. Che è uno dei tanti tiranni africani, odiati dal popolo ma con una buona polizia: tutti, da qualche anno in qua, fraterni amici dell’Italia o almeno dei suoi governanti.
Il rapporto fra noi e l’egiziano Mubarak, o il librico Gheddafi, è infatti chiarissimo su questo punto: l’Italia paga; essi impediscono con ogni mezzo, comprese tortura e morte, ai loro infelici sudditi di venire e infastidire noi ricchi.
Cento o duecento vittime, uccise mentre fuggivano dal Muro di Berlino, disonorarono – e giustamente – i regimi orientali, concorsero al loro crollo e furono e sono invocate come prova della disumanità e tirannia di quei regimi. Oggi le vittime si contano a migliaia e decine di migliaia, e noi tutti italiani – meno chi vi si oppone – ne siamo conniventi.
Vergogna, vergogna, vergogna. E vergogna maggiore su chi, come noi sicilaini, ha conosciuto la fame, come i poveretti di ora, e ha dovuto emigrare. Ma le angherie degli svizzeri – e dei tedeschi, e dei francesi, e dei belgi, e di tutti quei popoli presso cui la necessità ci costringeva a emigrare – non furono mai paragonabili a quelle che gli emigranti di ora subiscono da noi italiani degenerati. Peggio delle violenze (che non mancano) è odiosa l’indifferenza, e la Sicilia e l’Italia ne danno adesso – diversamente da ancora pochi anni fa – triste prova.
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Non saprei che altro aggiungere. E’ futile, di fronte a questo, dilungarsi sulle politiche nazionali e locali che al confronto appaiono sempre più esercitazioni di notabili più o meno incartapecoriti; l’unico partito che fa politica, a quanto pare, è la Fiom e tutti gli altri sono struzzi che differiscono per il diverso livello di profondità a cui seppelliscono la testa.
Due osservazioni soltanto. La prima riguarda la quasi totale indifferenza con cui la stampa nazionale ha accolto questa tragica vicenda, con l’unica benemerita eccezione del (fuori moda) Manifesto.
A Catania, quasi contemporaneamente ai fatti, si svolgeva uno dei tanti periodici dibattiti sull’informazione. Nessuno degli intervenuti ha ritenuto opportuno mentovare i poveri emigranti che proprio in quelle ore andavano incontro al loro tragico destino.
Né alcuno dei valorosi politici piombati giù da Roma ad aprire nell’occasione la campagna elettorale ha perso tempo a recarsi immediatamente allo stadio o all’aeroporto, a difendere i poveretti, che se ne sarebbero giovati. Liberali sì ma “galantuomini”, nell’accezione veghiana.
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L’altra considerazione riguarda invece i nostri ragazzi, i miei colleghi di Ucuntu. Che dalle primissime ore, senza porsi il problema di cosa sia o non sia l’informazione, si sono fiondati sul posto, a dare “copertura giornalistica” – come si dice – all’evento, che subito avevano percepito come importantissimo, e per solidarizzare con gli emigranti.
Fatiche e coraggio sprecati, perché dal punto di vista dei media il loro piccolo giornale, non ripreso dai grossi, non basterà certo a mutare l’opinione pubblica; e dal punto di vista civile le poche decine di cittadini presenti, fra cui essi stessi, non hanno potuto fare molto di più che richiamare i diritti e prendersi qualche spintone in mezzo agli altri.
Non sono stati furbi per niente, i miei colleghi e amici: potevano andare ai dibattiti, o in qualche carriera politica, invece di perdere tempo così per niente. Salvo che per una cosa che un tempo era importante, fra di noi siciliani: la dignità.