Quintuplicare la produzione petrolifera nei prossimi anni. Il piano di rilancio economico di Baghdad è un affare colossale. Ma a partecipare alla festa saranno soprattutto banche e corporation straniere
Dopo anni di attesa e crescenti preoccupazioni, il celebrato rilancio dell’industria petrolifera irachena potrebbe diventare presto realtà. Per la gioia dei consumatori stranieri, delle banche private e delle corporation di mezzo mondo. E’ il messaggio lanciato dal vice governatore della Banca Centrale di Baghdad Ahmed Ibraihi in un’intervista rilasciata negli ultimi giorni e resa nota dal Wall Street Journal. Chiamate a raccolta dallo stesso istituto centrale, le 32 banche private irachene tuttora operanti hanno ricevuto l’ordine di rastrellare 7 miliardi di dollari di nuova liquidità nel prossimo triennio. Obiettivo dichiarato: garantire sostegno alle compagnie straniere impegnate nello sviluppo dei “grandi progetti” di ricostruzione del Paese.
Quella promossa dalla Banca Centrale appare fin d’ora una manovra di portata colossale. L’enorme piano di raccolta, infatti, dovrà essere utilizzato dalle banche per adeguarsi ai nuovi requisiti imposti dal governo che prevedono un aumento del 400% della capitalizzazione minima di ogni singolo istituto (a oggi fissata a 50 miliardi di dinari, più o meno 42 milioni di dollari). Un traguardo che, ha lasciato intuire lo stesso Ibrahi, potrà essere raggiunto da molti operatori attraverso processi di fusione societaria o tramite l’attrazione di investimenti stranieri.
Ancor più ambizioso dell’operazione finanziaria, però, è il progetto di ricostruzione dell’industria petrolifera nazionale. Secondo i piani, infatti, si tratterebbe di moltiplicare la capacità produttiva giornaliera fino a raggiungere quota 12 milioni di barili, esattamente cinque volte il livello attuale. Un’espansione mostruosa che avrebbe enormi ricadute economiche e geopolitiche per tutto il Pianeta ma che, per il momento, contrasterebbe con le più recenti previsioni. A settembre il Fondo monetario internazionale aveva addirittura abbassato le stime sulla produzione di greggio iracheno prevedendo per il 2011 una capacità non superiore ai 2,2 milioni di barili contro i 2,9 ipotizzati a febbraio. Nel 2012, aveva affermato l’organismo internazionale, il livello dovrebbe salire a quota 2,6 milioni ma anche qui le previsioni erano migliori (3,1).
A Baghdad, tuttavia, sanno bene che la tendenza potrebbe essere invertita da un momento all’altro. Sfruttando, ovviamente, le enormi potenzialità inespresse. Nella classifica mondiale dei produttori l’Iraq occupa attualmente il dodicesimo posto, sovrastato da colossi come Arabia Saudita e Iran, e superato persino dal Brasile. Tutto cambia, però, guardando alla graduatoria del greggio disponibile. Nel 2009, l’Iraq vantava riserve per 115 miliardi di barili (4° posto nella classifica mondiale). Nell’ottobre di quest’anno Baghdad ha alzato la stima a 143 miliardi. I margini di espansione, insomma, sono enormi e con essi le potenzialità di ricchezza. Ma ad approfittare delle stesse, è ovvio, saranno prima di tutto gli investitori stranieri.
Negli ultimi due anni Baghdad ha firmato contratti con le corporation estere su nove diversi giacimenti petroliferi (più altri quattro di gas naturale) tenendo per sé mai più del 25% delle quote su ciascun progetto. Tra i firmatari società di mezzo mondo come la britannica Bp, la russa Lukoil, l’americana Exxon, la francese Total, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e l’italiana Eni che si è aggiudicata il giacimento di Zubair (4 miliardi di barili di capacità) insieme alla statunitense Occidental Petroleum e alla coreana Kogas (all’irachena Missan Oil spetta ovviamente il 25%).
Ma nella lista dei beneficiari non mancano nemmeno le cinesi Cnpc e Cnooc, la giapponese Japex, la malese Petronas, e persino la Sonangol, l’azienda petrolifera statale dell’Angola. Quanto alle banche, la storia sembra ripetersi. Rafaidan e Rasheed, i due principali istituti pubblici, sono esclusi dalla corsa al rilancio a causa dei debiti contratti proprio all’estero. Le banche private, al tempo stesso, restano ampiamente controllate da importanti società straniere – come la britannica HSBC Holdings PLC, la Ahli Bank del Qatar e la Kuwait National Bank – che, è facile intuire, potranno utilizzare i maxi aumenti di capitale per incrementare il proprio peso. Nel corso degli anni, a trattare con le corporation estere ci ha pensato soprattutto la Trade Bank of Iraq, un istituto finanziario creato dalle autorità americane nel 2003. Il valore degli assets controllati da quest’ultima si attesta oggi sui 13 miliardi di dollari, tre in più rispetto all’anno passato.