Provo a spiegarmi. Il libro racconta la caduta del professor Leo Pontecorvo, stimato oncologo infantile romano, di grande successo, che all’improvviso si trova accusato di essere uno strozzino (con un corollario di antisemitismo, visto che è ebreo), di irregolarità fiscali e soprattutto di aver molestato la fidanzata dodicenne di uno dei suoi due figli. Che, prove alla mano, riesce a distruggere in un attimo la sua vita quasi perfetta. La vicenda è chiaramente ispirata a quella del professor Carlo Marcelletti, cardiologo infantile morto lo scorso anno, travolto da accuse analoghe, ma la vicenda di Leo Pontecorvo si svolge negli anni Ottanta, in pieno craxismo.
E veniamo ai danni berlusconiani. Mentre leggevo, non potevo non fare questi ragionamenti: 1) Piperno racconta una storia del 2009, quella di Marcelletti, trasposta negli anni Ottanta, quindi la sovrapposizione tra l’Italia craxiana e quella berlusconiana è troppo facile; 2) Pontecorvo è, o almeno si sente, perseguitato anche in quanto craxiano; 3) i magistrati inquirenti sono violenti, aggressivi, usano la carcerazione preventiva con una disinvoltura ingiustificabile, sono i veri cattivi del libro, gli esecutori ciechi del complotto innescato da una ragazza dodicenne; 4) i media sono l’inevitabile altra metà del “circuito mediatico-giudiziario”, come si dice con un’orribile espressione sicuramente berlusconiana, se non anche più antica. E il libro è pubblicato dalla Mondadori. Inevitabile conclusione di un normale cervello pensante nell’Italia berlusconiana: Piperno sta raccontando, in un libro pubblicato dalla casa editrice di Berlusconi, l’Italia come a Berlusconi piace che sia raccontata, un Paese dove gli uomini potenti, in quanto tali, vengono distrutti dall’arbitrio dei giudici in combutta con i giornali. Un’opera di propaganda, insomma? Altro che uno dei romanzi più attesi dell’anno…
Poi il mio cervello (maturato negli anni del berlusconismo) tira il freno a mano. Un attimo, ragioniamo. Piperno ha 38 anni, è un professore universitario esperto di Proust, uno scrittore brillante che collabora con il Corriere della Sera (cioè Rcs, concorrente della Mondadori), a cui l’anagrafe consentirà di vivere gran parte della sua vita e della sua fortuna professionale in un’Italia post-berlusconiana. Non può essere così stupido da compromettersi con un’operazione così servile come dedicare oltre 400 pagine a compiacere un potere che è pur sempre transitorio.
E allora capisco, per dirla con Gaber, che il problema vero è il Berlusconi in me, più che Berlusconi in sé. Perché ormai ci siamo così abituati agli effetti del conflitto di interesse, alle escort piazzate in politica o in tv, ai piccoli abusi e alle censure costanti, reali o promessi, da vedere tutto come prodotto di una decisione berlusconiana o di qualche cortigiano più realista del re. Se un programma viene cancellato dalla Rai, è censura. Se ne spunta uno mediocre, di sicuro c’è un interesse nascosto o un ricatto segreto. Se esce un libro per Mondadori, non può che esserci il visto di palazzo Grazioli.
Insomma, Berlusconi e il suo conflitto di interessi cosmico mi hanno rovinato la lettura di Piperno. Adesso ogni aggettivo, ogni accenno polemico contro il magistrato che indaga Pontecorvo, ogni allusione politica, finisco per ricollegarla alla sequenza “Piperno-Mondadori-quindi Berlusconi”. Passi l’attacco alla Costituzione, passi l’immobilismo economico e i costumi disinibiti ed esibiti. Ma che il Cavaliere mi rovini pure la lettura di un libro, che già di suo aveva qualche problemuccio di coerenza e di ritmo narrativo, lo trovo francamente un po’ eccessivo.