C’è un film al Festival del Cinema di Roma che è passato sotto silenzio, perché naturalmente bisognava parlare di The Social Network, che non è un film su Facebook o sul suo impatto sulla società (come è invece l’ottimo Catfish di cui abbiamo parlato recentemente), ma la solita success story all’americana, con una spruzzata di cinismo e arrivismo (quale storia di successo non la ha?) messa in scena in modo competente da un regista brillante qual è Fincher.

Stiamo parlando di Inside Job, forse il film piu importante dell’anno, che in Italia ovviamente non verrà mai distribuito perchè a noi che ce frega della crisi economica, a noi interessa Facebook (siamo il paese al mondo che trascorre piu ore sul social network).

Il regista Charles Ferguson è un geniaccio delle dotcom il cui percorso non ha nulla da invidiare a quello di Zuckerberg, ma a differenza del profeta del social network (che per rifarsi il look ha donato 100 milioni di dollari al sistema scolastico del New Jersey il giorno prima dell’uscita del film), Ferguson ha deciso con le centinaia di milioni di dollari che si era messo in tasca vendendo la sua società a Microsoft di fare qualcosa di concreto per aumentare la nostra consapevolezza. Fare film documentari. E già questo sarebbe un motivo sufficente per parlare di lui.

Mario Sesti, nel suo resoconto (sul Fatto Quotidiano) sulla visita di Bruce Springsteen a Roma ci riporta una sua definizione a nostro avviso molto importante: Un artista è come un meccanico. Ferguson è decisamente un meccanico, il suo primo film parla della guerra in Iraq (No End in Sight, candidato all’Oscar). Inside Job punta invece lo sguardo sulla crisi economica che stiamo attraversando, nei confronti della quale incredibilmente continuiamo a vivere nella beata ignoranza.

Ci si è mai chiesti ad esempio come funzionano i prodotti finanziari derivati, i credit swaps o i subprime e che conseguenze abbiano avuto sull’economia mondiale? Inside Job, con quella grande chiarezza che è propria di chi non disprezza il proprio pubblico ma ha invece come priorità quella di farsi comprendere, ce lo spiega e senza mai cedere al populismo (che in fondo è solo un altro modo di disprezzare il proprio pubblico) ci mostra il terrificante percorso dell’economia mondiale verso il collasso, facendo parlare i protagonisti e le voci più autorevoli del settore.

Vedendolo in questi giorni ci offre anche un’ottima chiave interpreatativa su come mai Obama abbia perso il consenso del suo elettorato.

Il presidente avrà certamente commesso molti errori, ma soltanto gli ingenui e gli ignoranti potevano scambiare un politico per un messia, aspettandosi da lui una palingenesi epocale dopo i disastri dell’era Bush, tanto più nel mezzo di una tempesta finanziaria senza precedenti”, ci dice sul suo blog Chiaberge facendo un’analisi veramente troppo semplicistica per la sua intelligenza.

Inside Job ci mostra la ragione profonda di questa sconfitta: Wall Street ha in gran parte finanziato la campagna elettorale di Obama e una volta eletto lo ha circondato di suoi uomini, da Larry Summers a Timothy Geithner, passando per Bernanke e uno stuolo di ex (ex?) dirigenti di Wall Street ora alla Casa Bianca. Obama non ha commesso errori. Semplicemente non ha potuto regolare il mercato perchè il suo padrone non voleva che lo facesse.E quindi la palingenesi epocale che era legittimo aspettarsi (perchè era già avvenuta sotto Roosevelt dopo il crollo del 28) non poteva avvenire,  non perchè si era in una tempesta finanziaria senza precedenti, ma perchè coloro che avevano scientemente creato e sfruttato questa crisi a proprio vantaggio non volevano che fossero imposte regole simili a quelle che avevano salvato e fatto ripartire il paese dopo la crisi del 28.

Alla faccia di tutti i poveri disgraziati che avevano creduto, fatto campagna elettorale e votato per Obama e che hanno finito per pagare il conto della crisi economica mentre a Wall Street si festeggiava a suon di bonus multimilionari.  It’s the economy, stupid, come si diceva alla corte dei Clinton.

E’ meglio Sarah Palin? Certo che no, è molto peggio. Ma se il meno peggio fosse sufficiente a vincere le elezioni qui da noi il Pd sarebbe al governo da 15 anni.

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