Il 24 ottobre scorso, l’AD di Fiat Sergio Marchionne, ospite della trasmissione di Fabio Fazio, “Che tempo che fa” ha detto senza troppi giri di parole che “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia” e che “Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell’utile operativo previsto per il 2010 – ha concluso – arriva dall’Italia. Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre”.
All’evidente fine di anticipare le critiche che sono poi, puntualmente, arrivate, inoltre, Marchionne ha aggiunto che “qualsiasi debito verso lo Stato è stato ripagato in Italia, non voglio ricevere un grazie, ma non accetto che mi si dica che chiedo assistenza finanziaria”.
Sull’episodio e sulle dichiarazioni dell’AD della “Fabbrica italiana automobili Torino” si è già detto molto.
Possibile che Marchionne abbia ragione nel merito ed anche possibile che sferzare lo Stato italiano a far meglio e di più per rendere più competitivo il sistema Paese sia cosa buona e giusta.
Lascio agli economisti valutare la correttezza del contenuto delle dichiarazioni di Marchionne ed ai politologi valutarne l’opportunità così come l’obiettivo perseguito dal manager, ammesso che ve ne sia stato uno, al di là del semplice sfogo.
C’è però un dato sul quale credo occorra riflettere: “l’effetto Marchionne” sulle “presenze” nel nostro Paese dell’industria straniera.
Eccone un esempio.
La BAT – British American Tobacco – è la terza più grande impresa al mondo produttrice di sigarette ed ha comprato, nel 2004, gli ex Monopoli di Stato, iniziando a produrre sigari e sigarette, tra gli altri, in uno stabilimento in provincia di Lecce.
All’atto dell’acquisizione, la BAT ha assunto nei confronti dello Stato, impegni per 36 mesi e si è obbligata al rispetto di uno specifico piano industriale.
Oggi, trascorsi abbondantemente i 36 mesi e data piena attuazione al piano industriale, la BAT intende cessare la produzione di sigari e sigarette nel sito di Lecce.
La decisione è, comprensibilmente, osteggiata dalle Autorità locali e dalle associazioni sindacali.
La lettura del verbale dell’incontro svoltosi lo scorso 20 ottobre presso il Ministero dello Sviluppo Economico alla presenza di tutte le parti interessate è straordinariamente utile a comprendere le possibili conseguenze dell’Effetto Marchionne.
Allo Stato, alle Amministrazioni locali ed ai sindacati che chiedono di rivedere tale decisione, BAT – semplificando una questione evidentemente complessa – risponde che la decisione è dettata dal fatto che “i costi del sito di Lecce sono del 25% superiori rispetto alla media europea e del 20% superiori a quello dello stabilimento tedesco del Gruppo che gestisce, inoltre, una produzione più complessa” e, proprio come il manager della FIAT, aggiunge che, in ogni caso, essa non “deve” altro allo Stato italiano avendo puntualmente adempiuto a tutti gli impegni assunti.
La decisione di BAT non è, naturalmente, conseguenza delle parole di Marchionne ma è difficile negare che la circostanza che, negli ultimi mesi, la Fabbrica Italiana Automobili Torino stia prendendo le distanze dalla sua italianità, non abbia un peso – presente e futuro – nelle scelte di imprenditori stranieri, geneticamente meno legati – o niente affatto legati – al nostro Paese.
Colpa di Marchionne dunque? Probabilmente no, anche se certe dichiarazioni e, ancor più, certe scelte “strategiche” avrebbero, forse, potuto e dovuto essere caratterizzate da maggior ponderatezza ed accortezza. Colpa, certamente, dell’intero sistema, nessuno escluso, dallo Stato incapace di garantire competitività al nostro Paese a noi cittadini, forse, a tratti, un po’ miopi nel guardare solo all’oggi ed all’indomani senza avere la forza ed il coraggio di guardare al dopodomani.